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N. 14 - Luglio 2006

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

La Persia e la fine di Dario - Parte X

di Antonio Montesanti

 

Babilonia

 

Dopo aver seppellito e tributato i dovuti onori ai caduti sul campo, il Macedone si diresse nel cuore della Mesopotamia per potersi assicurare le ricchissime città della mezzaluna fertile.

 

Incredibilmente, come in Egitto, la sua fu la marcia di un liberatore: eppure questo non doveva risultare poi tanto strano, se la stessa Babilonia non aveva più una cinta difensiva abbattuta da Serse, per il suo carattere eminentemente ostile, il quale l’aveva disabilitata dopo averne soffocato la ribellione.

 

Sembra che l’ingresso a Babilonia, avvenuto a metà ottobre, sia stato estremamente regale degno di un trionfatore in cui tutto l’esercito venne schierato in parata e la città lo accolse come un eroe.

 

Qui si era rifugiato Mazeo, che riteneva, da ottimo uomo e da valente generale qual’era, di concedere la propria lealtà a chi aveva dato prova di qualità militari e coraggio in battaglia superiori a quelle del suo comandante che si era dato invece alla fuga. Il nobile satrapo sconfitto s’incontrò con il generale nel centro della città, dopo aver contrattato la resa e la consegna della città nelle quasi quattro settimane che intercorsero tra la sosta di Alessandro ad Arbela e i 460 km coperti dall’esercito macedone fino a Babilonia.

 

Mazeo consegnava, senza resistenza o tentativi di contrasto la città, la guarnigione persiana comandata da Bagofane, la casta sacerdotale e la popolazione dell’intera satrapia. Il generale persiano, che incarnava valori di lealtà e fiducia, si presentò al nuovo Re seguito dai suoi figli maggiori e dalla moglie, una nobile babilonese; nel più valente dei generali di Dario, si fondevano le culture, persiana e mesopotamica.

 

Il suo atteggiamento gli valse il potere politico, ma non quello militare, della satrapia ma in compenso Mazeo mantenne la prerogativa, unica per un persiano sotto il regno macedone, di battere moneta.

 

Nella capitale mesopotamica (80 chilometri a sud di Baghdad), che la tradizione voleva fondata dal Sargon di Akkad, Alessandro venne accompagnato nel palazzo di Nabucodonosor, dove prese possesso del tesoro celebrando un sacrificio in onore del dio Bel Marduk, a cui era dedicata la città secondo i dettami dei sacerdoti locali.

 

Come i predecessori persiani, assunse il titolo formale di re babilonese, probabilmente sottoponendosi al tradizionale rito di investitura che prevedeva di stringere le mani della statua del dio.

 

I Persiani nei vari secoli di occupazione avevano notevolmente represso l’intero paese, così come avevano fatto per l’Egitto, soprattutto lasciando cadere in rovina l’immenso complesso templare dell'E-sagila. Questa forma di repressione trovava le prime responsabilità in Serse I (486-466), e la popolazione nutriva grandi speranze che il nuovo monarca avrebbe riportato l’antico tempio al suo originario splendore.

 

Alessandro non si sobbarcò di una tale responsabilità, che tra l’altro avrebbe richiesto un esborso notevole di denaro, ma con la sua splendida diplomazia, dopo aver restituito alla città le leggi che l'avevano governata prima dei persiani, si dichiarò favorevole alla restaurazione del santuario, ma a spese e tramite il lavoro degli stessi babilonesi.

 

Il tesoro venne utilizzato immediatamente per il pagamento delle truppe che avevano bisogno di vedere il loro sforzo gratificato anche e soprattutto a livello economico e quindi, come aveva fatto in Egitto, concesse un mese di svago assoluto alle proprie truppe lasciate in licenza nella capitale.

 

Nel frattempo, Alessandro, aveva mandato uno dei suoi ufficiali più fidati, Filosseno, perché prendesse il controllo della ricchissima città di Susa, perché questa si arrendesse e soprattutto affinchè il suo ricco tesoro fosse preservato. Alla fine di novembre del 331 a.C. cominciò la marcia verso Susa.

 

Seguendo l’esempio di Babilonia, l’antico centro del regno dell'Elam (oggi Khuzistan, Iran sudoccidentale) non fece resistenza: il satrapo della provincia della Sittacene, Abulite, aprì le porte della città subito a Filosseno consegnando anche il tesoro, che comprendeva 50.000 talenti d’argento, tra cui il bottino di guerra razziato dai Persiani ai Greci durante le Guerre Persiane, di cui facevano parte le famose statue dei tirannicidi Armodio e Aristogitone.

 

A Susa convergerono l’esercito macedone reduce da Gaugamela ed i nuovi effettivi, circa 15.000 uomini, inviati da Aminta come rinforzo e che non solo ricolmarono le perdite subite nella battaglia, ma ampliavano i ranghi in maniera consistente. L’inserimento delle nuove leve macedoni, tracie e peloponnesiache vennero distribuite nelle unità delle rispettive appartenenze etniche, e con questa evenienza venne anche riorganizzato l’intera compagine e soprattutto il comando: venivano nominati dei subcomandanti sia per la cavalleria dei Compagni sia per gli ipaspisti, e questa volta, per la prima, vennero scelti in base al merito e non per discendenza o affiliazioni amichevoli.

 

Quando giunse il Macedone, si ripropose lo stesso cerimoniale già visto a Babilonia. Il re venne ricevuto sulle rive del fiume Coaspe (Karkheh), tre chilometri circa a ovest di Susa. Il satrapo lo affrontò reverenzialmente con una scorta di cammelli da corsa ed elefanti, fin dentro alla seconda città per importanza dell'impero achemenide.

 

Nella ricchissima città venne in possesso del tesoro, che consisteva di 40.000 talenti in lingotti d'oro ed argento, oltre a 9.000 talenti in darici d'oro. E comunque questa somma, la più grande mai riversatasi nelle mani di una dinastia europea, tanto che il Suo regno contemplò una ricchezza talmente elevata, proporzionalmente al tempo e unica nella storia.

 

Una cospicua riserva d 3.000 talenti d argento che doveva in parte versare ad Antipatro come aiuto per i servigi da rendere nella guerra contro Agide, per questo venne incaricata la sua guardia del corpo, Menete, perché garantisse le comunicazioni e il trasferimento dei fondi tra Fenicia e Grecia.

 

L'obiettivo dichiarato adesso rimaneva sempre Dario, e la sua famiglia venne lasciata a Susa.

Al dinasta persiano rimaneva ancora la Perside (attuale Farsi, Iran centro-meridionale) e tutte le satrapie più orientali, per questo l’Argeade si precipitò sulla regione iranica vera e propria, il cuore dell'impero in pieno inverno del 331 a.C., benché i gelidi passi dei monti dello Zagros potessero rappresentare un potenziale problema per essere valicati.

 

Una volta conclusa la sua missione a Susa, esercito e generale accorsero nel cuore della Persia attraversando su ponti di barche il Dez e il Pastigri (l'attuale Karun), forse nei pressi di Shushtar, a 60 chilometri da Susa, inoltrandosi all’interno del territorio degli Uxi che rappresentava uno dei pochi corridoi tra la Sittacene e la Perside nel territorio dei quali si trovavano le Porte Persiane.

 

Il territorio degli Uxi era topograficamente suddiviso in due differenti realtà: da una parte i territori pedemontani alle pendici dello Zagros, tra i centri moderni di Ramhormoz e Behbehan e dall’altra il territorio montuoso della grande catena.

Anche se appartenenti ad una stessa etnia, le differenze topografiche corrispondevano anche a differenze etniche: gli abitanti della piana, praticavano l’agricoltura poiché sembra che la loro terra fosse proverbialmente fertile, mentre gli Uxi delle montagne preferivano darsi alla pastorizia.

 

Gli Uxi erano un popolo talmente fiero che erano riusciti non solo a conservare l'indipendenza ma addirittura a mantenere inalterato il loro rapporto con gli stranieri o con coloro i quali passavano per il loro territorio; lo stesso Gran Re, quando attraversava le gole controllate da loro pagava sotto forma di dono una sorta di tributo. Alessandro si trovò ad affrontare ambedue i gruppi: Medate, satrapo degli uxiani della pianura e parente di Dario, tentò di portare un blocco al contingente macedone. Ma il re, ripropose l’attacco dei Persiani ai Lacedemoni di Leonida alle Termopili: attaccò frontalmente mentre un distaccamento di guastatori agriani e mercenari aggirava i nemici passando per un sentiero laterale che li conduceva alle spalle dei difensori.

 

Capendo la “trappola”, Medate fece in tempo a fuggire e a ritirarsi in cima ad una fortezza.

 

A questo punto l’esercito macedone rivolse le armi verso gli Uxi di montagna, che richiedevano lo stesso tradizionale tributo che versavano loro i Persiani per il passaggio. Dopo averli condotti, con la scusa avrebbe versato loro il tributo, nelle gole controllate da loro, Alessandro li trattenne con delle perdite di tempo mentre i soliti distaccamenti agriani e alleati si rivolgevano verso i villaggi uxiani più vicini saccheggiandoli e depredandoli; Cratero veniva mandato avanti ad occupare le alture al di sopra del passo.

 

A questo punto con un movimento rapido occupò le gole prima che i guerrieri uxiani riuscissero a rioccuparle nuovamente. Ritornando presso i passaggi, gli Uxi si trovarono chiusi tra Alessandro e Cratero e successivamente massacrati: il loro rappresentante, Medate, dalla sua fortezza negoziò una resa assai vantaggiosa, soprattutto per intercessione della regina madre Sisigambi aveva mandato un messaggio da Susa, chiedendo misericordia per suo nipote: da questo momento l’intera popolazione era costretta per la prima volta al pagamento di un pesante tributo annuale di bestiame.

 

Superati i difficili passi uxiani, e prima di entrare nella Persia propriamente detta, Alessandro spaccò il suo esercito in due: da una parte alleati e mercenari greci, le salmerie e le macchine d’assedio, sotto il comando di Parmenione, avrebbero dovuto proseguire sulla via imperiale (Behbehan-Kazerum-Shiraz) per Persepoli; mentre le truppe regolari macedoni, con la cavalleria e gli onnipresenti agriani e arceri, guidate da Alessandro erano direzionate sempre verso la capitale persiana con la differenza che avrebbero tagliato attraverso le montagne. Questa strada, di difficile identificazione, penetrava i monti Zagros probabilmente seguendo la direzione fino alle Porte Persiane o Susiane (l'attuale passo di Tangi Muhammad Riza o Tang–Rashkan che sfocia nella piana di Aliabad) che Alessandro trovò sbarrate dalla presenza di un contingente persiano al comando del satrapo Ariobarzane.

 

Il satrapo aveva preparato tutto al meglio, attestatosi sulla variante montana della via imperiale, aveva bloccato la gola con un muro, che congiungeva le strettoie, inoltre aveva posizionato gli uomini sulle alture che dominavano la strettoia; alle loro spalle come fortino difensivo ci doveva essere l'accampamento. Inoltre in avanscoperta sulle cime del Kuhi Rudian antistanti la piana e che dominavano la gola aveva posto delle sentinelle che dovevano osservare la situazione e i movimenti macedoni.

 

Alessandro, che si era accampato in una radura conosciuta come Mullah Susan, come al solito attaccò frontalmente, ma questa volta trovò una resistenza e soprattutto un’organizzazione migliore: i dardi ed i proiettili scagliati dalle alture dai nemici prendevano una velocità notevole e riuscivano a fare più danni del previsto causando ingenti perdite nella fanteria, costringendo il Re al ritiro.

 

Anche in questo caso, come per la situazione degli Uxi, Alessandro utilizzò la stessa tattica, infatti nel precedente attacco aveva appositamente catturato dei persiani: i prigionieri rivelarono che vi era un sentiero che aggirava la gola. Per non essere visto il Re intraprese l’aggiramento con la maggior parte dell’esercito, lasciando Cratero con due tàxeis di Meleagro, 500 arcieri e 500 cavalieri, con il doppio compito di distrarre il nemico con dei fuochi, pronto ad effettuare un attacco contestuale sulla fronte quando egli avesse attaccato da tergo.

 

Attraversò il passo di Bolsoru o Bi-jeshki col favore delle tenebre e solo allora suddivise ulteriormente le forze: una parte del contingente il più avanzato, venne guidato dal Monarca in persona, mentre il resto delle truppe era al comando di Filota e di tre comandanti della falange.

 

Secondo Arriano, Ceno, Aminta e Poliperconte vennero inviati a costruire il ponte sul fiume Arasse (l'attuale Rudi Kur), per facilitare il passaggio verso Persepoli, a oltre 100 chilometri dal l'accampamento persiano, ma più probabilmente ciò avvenne in un secondo momento, dopo l’aggiramento che venne condotto con l’accuratezza di mantenere le truppe nascoste , in modo che non venissero individuate dalle vedette sul Kuhi Rudian.

 

Una volta raggiunto il punto più alto, prima di proseguire discendendo verso le posizioni nemiche, distaccò Aminta con parte delle truppe verso la piana di Ardakan, per tagliare ai persiani la via della ritirata, quindi la furia dello squadrone di Alessandro si abbatté, distruggendo le fortificazioni persiane e mettendo in fuga gli occupanti, quindi attaccò il campo nemico vero e proprio; solo allora Cratero venne invitato all’attacco ed i persiani, colti di sorpresa su due fronti si ritirarono cercando scampo nelle fortificazioni a sud dove intervenne Filota che provvide a farli a pezzi. Tolomeo a nord completò l’opera intercettando i gruppi in ritirata. Ariobarzane era in fuga con un piccolo drappello di cavalleria e della guardia di fanteria, il suo tentativo di entrare a Persepoli, venne vanificato dalla stessa guarnigione che glielo impedì consegnando la sua vita nelle mani macedoni, ai quali vennero aperte le porte.

 

Il comandante del presidio di Persepoli (l'attuale Takhti Jamshid), Tiridate, patteggiò abilmente la resa invitando Alessandro ad impossessarsi del tesoro prima che venisse depredato. Dopo aver attraversato il Pulvar su un ponte di chiatte. La capitale del regno a differenza di Babilonia e Susa venne consegnata nelle mani delle truppe secondo il proclama di vendetta dell’affronto subito da Atene quando l’acropoli venne bruciata da Serse. Solo il palazzo reale venne risparmiato: le abitazioni private e i palazzi della grande città che sorgevano sulle terrazze rocciose del monte Kuhi Rahmat vennero saccheggiati, gli uomini trucidati e le donne rese schiave. La capitale perdeva da quel momento ogni peculiarità e la Perside sarebbe diventata una satrapia come un'altra, il centro principale di governo sarebbe divenuto Babilonia.

 

I macedoni svernarono in questa regione e nel frattempo il tesoro di corte venne spartito: la somma colossale di 120.000 talenti in lingotti d'oro e d'argento fu requisito e posto su migliaia di animali da soma, che aveva richiesto agli Uxii, parte fu spedita a Susa mentre parte doveva seguire il convoglio verso la Media. L’esercito venne raggiunto da Parmenione, mentre gli occupanti della capitale si preparavano ad un’azione tesa a debellare la popolazione montanara dei Mardi sui monti Zagros, e a devastare alcuni territori persiani.

 

Intanto il resto dell’esercito aveva provveduto a spogliare il palazzo di Serse azione che pose il Generale nella condizione, assecondata dall’ebbrezza di distruggere completamente la capitale. Dopo aver celebrato riti sacrificali, che promettevano ancora onore e gloria al Macedone, si diede inizio ad una festa bacchica che si prolungò per diversi giorni alla quale erano presenti diverse concubine, tra cui l'ateniese Taide, amante di Tolomeo. Sembra che sia stata proprio lei ad aver spinto Alessandro a bruciare immediatamente il palazzo, come vendetta per l’oltraggio di Serse ad Atene 150 anni prima.

 

In preda ai fumi dell’alcol, Alessandro per primo, nonostante le proteste di Parmemone, iniziò a dar fuoco al palazzo, che, avendo i soffitti in legno di cedro del Libano, bruciò con una rapidità inversa alla suo pregio e alla sua durevolezza: immediatamente. Le truppe, stupefatte di ciò che stava avvenendo, impiegarono pochissimo ad unirsi all’orgia di devastazione.

 

Del palazzo bruciarono solo le parti lignee, ma le pareti rimasero in piedi e grazie al fatto che l’edificio non venne nei secoli più ripopolato, consentì agli archeologi di riscoprirne le bellezze: le sculture, i mosaici ancora in ottime condizioni e ammirarne le splendide Sale delle Cento Colonne e del Tesoro.

 

Persepoli sarebbe rimasta capitale della satrapia. La popolazione, non del tutto ostile si mostrò pronta ad accettare l'invasore, anche molto tempo dopo che era passato lo sbigottimento iniziale per la disfatta.

 

Anche la prima e più antica capitale, Pasargade (presso all'attuale Murghab), nella quale si spostò immediatamente dopo venne trattata meglio: il tesoro di 6000 talenti venne, è vero, confiscato, ma la città fu lasciata intatta, in particolare venne onorata e venerata la tomba di Ciro il Grande, suo fondatore.

 

Sconfitta di Sparta

 

Nella primavera del 330 a.C. Antipatro era ancora in guerra contro Agide di Sparta, ma proprio a Persepoli il figlio di Filippo riceveva la notizia che i Lacedemoni erano alle strette.

 

Gli Spartani stavano continuando una guerra ormai “invincibile”: non potevano più contare su alcun aiuto da parte persiana e tutto sommato stavano riuscendo a guadagnare anche alcuni stati minori dell’Ellade, Atene rimaneva impassibile, memore degli ostaggi e Megalopoli, Argo e Messene erano sempre più ostili. Antipatro scese nel Peloponneso con un esercito costituito dai contingenti della Lega Ellenica e Agide fu pronto ad accettare comunque il confronto impari davanti a Megalopoli. La battaglia fu piuttosto sanguinosa in quanto ben 5300 Spartani e mercenari e 3500 soldati della Lega rimasero sul campo e Agide cadde da vero Re spartano. Antipatro, con clemenza, pretese 50 ostaggi lacedemoni richiedendo al suo Re istruzioni sul destino della città.

 

La Persia e la morte di Dario

 

Non vi fu alcuna ribellione in Perside, neppure al culmine della controffensiva di Besso, e dal 324 a.C. il regime del macedone Peucesta fu accolto favorevolmente dalla popolazione nativa.

 

Dario nel frattempo si era ritirato nella capitale meda di Ecbatana (l'attuale Hamadan) ed attendeva coadiuvato da pochi fedelissimi: il chiliarca Nabarzane, il veterano Artabazo, e i satrapi dell'impero orientale, guidati da Besso signore delle satrapie di Battriana e Sogdiana, all’interno della cerchia difensiva composta secondo Erodoto da sette cinte murarie. Le sue intenzioni erano quelle di ricostituire un nuovo esercito con nuove leve provenienti dalla Battriana e dai cadusi, tribù delle rive del Mar Caspio, che si erano comportati in maniera esemplare nell’ultimo scontro.

 

Il piano di Dario prevedeva un rallentamento della marcia del Macedone con delle azioni diversive che avrebbero portato il nemico verso la Media settentrionale tramite una serie dei ribellioni nella Perside e il proseguimento della guerra in Grecia; ma il Gran Re poteva contare su forze ridicole: forse 3300 cavalieri battriani, al comando di Besso, e una fanteria più consistente ma come al solito leggera supportata dai soliti mercenari greci.

 

La ritirata ad oltranza sembrava la scelta migliore. Il prossimo scontro sarebbe avvenuto in una delle satrapie orientali probabilmente in Battriana, dove intendeva radunare un nuovo esercito. Lasciata al suo destino anche Ecbatana, Dario si diresse verso le Porte Caspiche, accesso alla Partia e alle satrapie orientali. In quel luogo raggiungeva il convoglio di beni che aveva mandato avanti.

 

Ma Alessandro stava già portandosi con tutto l’esercito attraverso la satrapia confinante di Paretacene, dopo una marcia veloce di 11 giorni, fu raggiunto da Bistane (presumibilmente un figlio di Artaserse III), lo avvertiva che Dario aveva lasciato Ecbatana cinque giorni prima, portando con sé il tesoro di Media. Preso atto che Dario non si sarebbe arreso, diede ordine di abbandonare Persepoli alla devastazione e il grande convoglio che scortava il tesoro in primavera, senza preoccuparsi della situazione nel vecchio continente.

 

Ora era fondamentale raggiungere il monarca persiano il più velocemente possibile: ridusse le sue forze a meno di 20.000 uomini prendendo con se solamente i reparti migliori di cavalleria (Compagni, pródromoi e mercenari), falange e i soliti agriani e arcieri.

 

Prima di raggiungere Ecbatana virò nei pressi della moderna Sultanabad puntando a nordest verso Rage (attuale Rey, a sud di Teheran).

 

Anche ad Ecbatana si trovava un palazzo da saccheggiare. Dopo avervi stazionato per pochissimo tempo, il Conquistatore, nominò Filosseno responsabile delle comunicazioni con l'Europa e nuovi satrapi per la Media, in questa città sarebbe presto giunto il secondo troncone dell’esercito, al comando di Parmenione, che aveva il compito di occupare la Media, guardare al convoglio del tesoro, mentre La seconda fase di questo contingente sarebbe stata quella di bloccare lungo la costa del Caspio, i Cadusi, limitandone ogni tentativo di ritirata a nord dei monti Elburz, ordine che verrà presto revocato, lasciando il vecchio generale a riposo a Ecbatana con le forze minime della guarnigione.

 

Pur avendo accelerato allo strenuo la sua marcia, Alessandro, in undici giorni coprì il tragitto da Ecbatana a Damgham (650 chilometri), raggiunse Rage, ma anche qui il nemico gli era sfuggito avendo già raggiunto le agognate Porte Caspiche.

 

Quindi nel dubbio di una probabile difesa delle Porte Caspiche che lo avrebbe messo in seria difficoltà, l’esercito fu lasciato riposare per cinque giorni, per riprendere l'inseguimento con due giorni di marcia estenuante a novanta km a est di Rage. Qui si aprirono le favolose Porte indifese e che lasciavano libero accesso al fertile distretto di Coarene (Khar).

 

Superato questo territorio ferace, si sarebbe aperta una nuova porta per il giovane Condottiero, quella del desertico iranico. Per questo c’era necessità di ammassare provviste.

 

Alessando aveva ben donde di raggiungere il convoglio nemico prima dell’irreparabile, era stato raggiunto da alcune notizie di una crisi che serpeggiava nell’entourage persiano: il nobile babilonese Bagistane, figlio di Mazeo, riferiva al macedone che l'alto comando persiano stava preparando una sorta di congiura in cui i satrapi avevano addirittura deposto Gran Re. Il continuo ritirarsi del monarca assoluto di un regno vastissimo verso le satrapie orientali del suo impero, che non aveva mai visitato, in zone che godevano di una grande indipendenza restie ad accettare la sua sovranità, soprattutto ora che si trattava di seguire un re in fuga. Già dopo l’abbandono di Ecbatana, si stava annidando il baco del tradimento tramite l’assegnazione del comando a Besso.

 

Da una “ventilazione” degli eventi il passaggio all’intrigo di fatto vero e proprio avvenne in breve tempo: Nabarzane appoggiava Besso e così fecero tutti gli altri satrapi e consiglieri ad esclusione di dell'occidentalizzato Artabazo (proveniente dalla Frigia ellespontica) e il solito drappello di mercenari greci.

 

I dissensi e l’abbassamento del morale della carovana in fuga portarono ad un rallentamento della colonna che veniva abbandonata giornalmente da centinaia di disertori disperati che si andavano ad arrendere al vincitore avanzante.

 

Alessandro proseguiva la sua più tremenda marcia forzata del suo regno: dalla piana di Coarene puntò nel deserto, lungo il margine orientale del Dashti Kavir fino a raggiungere l'oasi di Thara (Lasjerd?) dove ricevette altre notizie su ciò che stava avvenendo presso il convoglio nemico: in tre tappe e 36 ore furono coperti quasi 200 chilometri.

 

Dario era già prigioniero di Besso, Artabazo e a capo dei mercenari greci prese la via del nord, verso i monti Elburz. Ormai il convoglio persiano era privo di esercito se si escludono pochi effettivi orientali. L'ultima tappa, altre sedici ore, dell'inseguimento fu condotta con divisioni di cavalleria e fanteria ultraleggere montate a cavallo.

 

La stessa notte il contingente di 6000 tra eteri, i sarissofóroi, i peoni e alcuni opliti percorsero velocemente gli altri 80 km attraverso il deserto e posero termine all'inseguimento nei pressi della città di Ecatompilo (attuale Shahri Qumis o Shâhrûd), prima che sorgesse il sole. Durante quella notte Alessandro si conquistò per l'ennesima volta l'ammirazione dei suoi uomini, rifiutandosi di bere la poca acqua che avevano rimediato apposta per lui.

 

All’avvicinarsi dei macedoni Satibarzane, nei pressi di Damgham, satrapo della provincia di Aria e Barsente, satrapo di Drangiana e Aracosia pugnalarono Dario su istigazione di Besso e Nabarzane. Quindi tutti i satrapi si diressero verso le satrapie di loro pertinenza lasciando il re ferito a morte nelle mani di Alessandro che lo trovò ormai defunto

 

Qui, ad Ecatompilo, si attendeva il resto dell’esercito che era rimasto indietro nel deserto, e mentre avveniva il ricongiungimento, Alessandro si preoccupò di trattare il corpo dell’avversario con tutti i riguardi e gli onori inviandolo a Persepoli perché fosse sepolto.

 

Con Dario terminava ufficialmente la dinastia achemenide e solo ora un giovane macedone di 26 anni (siamo nel 330/29 a.C.) poteva ragionevolmente autoproclamarsi re d'Asia.

 

Lo scopo della sua guerra, quasi personale, era compiuto sotto ogni aspetto, soprattutto per i Greci della Lega di Corinto, i quali furono autorizzati a smobilitarsi ottenendo 2.000 talenti del tesoro di Persepoli come gratifiche di congedo, tra coloro che lo desideravano, potevano rimanere in qualità di mercenari; coloro i quali volevano ritornare in patria, presero la strada verso la costa siriana, dove sarebbero stati imbarcati per l'Eubea.

 

Ormai le prime linee venivano rimpiazzate da mercenari di varie etnie, mentre i restanti contingenti ellenici venivano assegnati al comando di Parmenione.

 

Questo atto simbolico, funzionò da contraccolpo fra le truppe regolari che ebbero un sussulto di sollevazione: anche i macedoni volevano rientrare. Quelle tensioni soffuse che si palpavano già dopo Isso e soprattutto dopo le proposte di Dario all’uscita dall’Egitto si stavano palesando: l'esercito esprimeva giornalmente il suo dissenso a continuare.

Ma non c'era più un Parmenione a patrocinare la causa della prudenza, e Alessandro fu in grado di imporre la sua volontà ai propri uomini.

 

Decise d’indire un’assemblea e con un discorso, nel quale non sancì la conclusione delle operazioni militari nell'impero persiano, sottolineava il potenziale pericolo proveniente da Besso, rimasto in Battriana e non ancora vinto, la sua stretta parentela col Gran Re ed una sua possibile ribellione; in questo modo riuscì a convincere i suoi uomini a rendere saldi i confini di un impero. Quello stesso impero del quale era divenuto successore e signore, rivendicandone la totalità.

 

Questo era il carisma di Alessandro, certo forse convinse i suoi uomini con la potente arma della retorica o ancor di più con la speranza delle fantastiche ricchezze d’oriente, ma riuscì a sopire l'opposizione e soprattutto a spingere dei soldati a continuare una campagna a migliaia di chilometri da casa.



 

 

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