N. 12 - Maggio 2006
ALESSANDRO
MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA
L’Egitto (332-331 a.C.)
– Parte VIII
di
Antonio Montesanti
Dopo aver domato gli infidi Fenici e i tenaci Filistei e
non aver mostrato alcuna forma di compassione,
Alessandro era perfettamente consapevole di
immergersi, per un periodo piuttosto lungo, in un’oasi
di serenità, rispetto alle campagne passate, che
avrebbe consentito a lui e al suo esercito di
dedicarsi a loro stessi: l’Egitto.
La satrapia d’Africa era davvero l’unica, insieme a quelle
ioniche d’Asia Minore, a non aver mai sopportato il
giogo persiano; una figura come quella di Alessandro
sarebbe stata vista in maniera totalmente differente
rispetto al misconosciuto monarca asiatico.
Gli Egiziani avevano bisogno di un essere, più che una
persona, che fosse presente, che avesse origini divine
e che soprattutto riconvertisse le entrate verso il
loro paese e che non sfruttasse i sudditi disperdendo
i loro tributi.
Non vi era nessun ostacolo tra il macedone e la terra dei
faraoni. La flotta persiana era stata debellata, Dario
stava pensando a riorganizzare se stesso e l’esercito,
il satrapo, Sabace, era morto a Isso e il suo
rimpiazzo, Mazace, si precipitò a rendere tutti gli
onori al suo nuovo signore.
Gli Egiziani, erano pronti ad accogliere il Conquistatore
come un liberatore dal giogo persiano, poiché vi era
tra Persiani e Egizi una sorta di contrasto, forse
storico, per le imprese frustranti dei principi
persiani nei riguardi di questo popolo o per
interpretazione divina. Certamente il tributo di 700
talenti richiesto dall’erario persiano erano poca cosa
per questo paese, il cui grano sembra venisse mietuto
tre volte in un anno, per essere un alibi ai contrasti
tra queste due nazioni.
Prima di entrare nella terra bagnata dal Nilo, ed assumere
il controllo della nuova satrapia, Alessandro mandò
una spedizione di reclutamento in Macedonia, guidata
dal comandante di falange Aminta, figlio di Andromene.
All’indomani di assedi durissimi durati quasi un anno,
erano necessarie all’esercito forze fresche e
soprattutto commilitoni che riportassero una ventata
di patria dall’Ellade. Aminta doveva fare ritorno in
Egitto in poco più di un anno, scegliere con
accuratezza le forze e dargli i primi insegnamenti
necessari ad un addestramento duro come era quello del
falangita. Non era un problema militare era una
questione di morale.
Se i diversi mesi intercorsi tra Isso e l’arrivo ai confini
dell'Egitto, da una parte avevano fiaccato le forze,
dall’altra avevano dato la possibilità ad Alessandro
di preparare con cura un ingresso trionfale e privo di
spargimento di sangue.
La voglia di entrare in quella terra mistica, affascinante,
spinse il giovane Re a procedere velocemente, non a
marce forzate, ma a ritmo sostenuto e questa volta ciò
era possibile poiché la flotta poteva provvedere ai
rifornimenti, non essendo più disturbata da quella
persiana.
Nel novembre del 332 a.C., dopo sette giorni venne coperta
la carovaniera (che è la stessa che viene usata oggi)
di circa 200 chilometri che separava Gaza dal confine
e da Pelusio (attuale Tell Farama), prima
cittadina egiziana lungo la foce del Nilo.
L'esercito entrò in Egitto senza incidenti, e la flotta
potè entrare nel porto di Pelusio, la prima grande
città-fortezza che sorgeva sul ramo all'estremità
orientale del Delta, che da sempre aveva rappresentato
per l'Egitto la prima fortezza difensiva, da dove
venivano respinte o affrontate tutte le invasioni e da
ultime quelle persiane di IV secolo.
La prima forma di resistenza i macedoni l’avrebbero
incontrata proprio lì qualora l’Egitto si fosse loro
opposto all’ingresso.
Le più rosee previsioni sulla sua accoglienza non sarebbero
state rispettate; Alessandro venne accolto in Egitto
trionfalmente, in qualità di liberatore; gli Egiziani
confluirono a Pelusio dalle campagne per salutare
Alessandro come un liberatore. La sua permanenza in
questa regione che doveva corrispondere a poco più che
una gita di piacere priva di connotazioni militari;
piuttosto si sarebbe potuta complicare per questioni
diverse da quelle belliche.
Da qui la flotta entrò nel Delta iniziando la risalita del
fiume; Alessandro guidava parallelamente le sue forze
di terra fino a Eliopoli, e attraversato il fiume
giunsero alla capitale Menfi, dove, il popolo assetato
di una guida, di un monarca, lo accolse addirittura
come un faraone. Mazace, l'ultimo satrapo persiano,
non poteva fare altro che atto formale di
sottomissione e consegnare la capitale, il tesoro e le
insegne reali intatte nelle mani del nuovo regnante.
Alessandro era un attento osservatore, un misuratore di
masse e di entusiasmi. Egli riusciva a capire, ad
intuire, l’umore delle persone, figuriamoci quelle
delle masse. L'accoglienza era stata superiore alle
migliori aspettative, calda, sincera ed effettiva.
Iniziò col celebrare un sacrificio in onore di tutti gli
dèi, tra cui anche il toro Api. Il giovane monarca
dedicava una festa che aveva caratteristiche
tipicamente elleniche, in cui vennero istituiti degli
agoni ginnici e musicali nei quali si confrontarono i
più affermati artisti e atleti del mondo greco. Una
delle doti che costituivano la grandezza del re era
quella di creare un’osmosi culturale, religiosa,
politica e soprattutto sociale: il dio Api venne
incluso nella celebrazione per rispetto nei confronti
della religione locale e quindi del popolo egiziano.
Alessandro, inoltre conosceva la storia, l’aveva studiata e
la continuava ad usare come un’armata, ben più forte
del suo esercito; era consapevole degli eventi e della
realtà storica che aveva assimilato, correggendo tutti
gli errori commessi dai suoi predecessori: ricordava
che ambedue i conquistatori achemenidi dell'Egitto,
Cambise e Artaserse III, si erano resi responsabili
delle uccisioni dei tori consacrati ad Api, gesto che
deteneva un’alta carica simbolica, evidenziando il
contrasto esistente tra il nuovo monarca e i suoi
predecessori persiani.
Cambise
Figlio di Ciro il Grande, primo re dei Persiani e
dei Medi, unificatore degli scettri di Iran,
Anatolia e Impero di Babilonia, alla morte del
padre, volle ampliare le conquiste paterne
occupando l’Egitto. Prima di partire si assicurò
il trono uccidendo segretamente il fratello
Bardiya (meglio conosciuto con il nome greco di
Smerdi), temendo che potesse usurpare il regno
durante la sua assenza.
Nel 525 a.C., l’esercito persiano vince Psammetico
III a Pelusio, con la collaborazione del generale
greco Fanes, disertore dell'esercito egizio,
entrando a Menfi. Mesutira Kamebet nome con cui
viene acclamato faraone dallo stesso clero di Sais,
dopo la conquista dell’Egitto,
regnò per due anni, fondando la XVII Dinastia.
Pur essendo faraone, considerò la sua conquista
come una satrapia dell'Impero Persiano e ne affidò
il governo al satrapo Ariane (Aryandes) per
potersi dedicare a tre progetti militari che
dovevano avere come base di partenza l'Egitto
stesso: la conquista della Nubia, una spedizione
verso le nel Deserto Libico e la conquista di
Cartagine. In Etiopia e in Libia Cambise riportò
gravissime perdide, soprattutto nella seconda,
alla ricerca di Siwaa, che lo portò a perdere
l’intero esercito, la terza non ebbe neppure
inizio a causa del rifiuto della flotta fenicia,
ad attaccare una loro colonia.
In seguito a questi fallimenti il re persiano
impazzì iniziando a comportarsi con efferrata
crudeltà. Erodoto narra che la follia lo portò a
sacrificare il sacro toro Api e ad ucciderlo con
le sue mani, che gli costò l’additamento come
profanatore.
Udjahorresne, un consigliere egiziano al servizio
dei Persiani, convinse Cambise a costruire un
fastoso sarcofago, conservato nel serapeum
di Saqqara, ad onorare la dea Neith e a dedicare
una statua alla sua vittima: onori che non
basteranno al re persiano a stemperare l’odio
degli Egizi verso i Persiani stessi.
Per questo nel 522 a.C., Cambise sarà costretto a
partire dall'Egitto come n fuggitivo. Morirà
durante il viaggio di ritorno verso la capitale
Susa a causa di un complotto.
|
Artaserse III Ochos
Figlio di Statira e Artaserse II Mnemone, occupa
il trono nel 358 a.C. Durante il suo difficile
regno (358-338 a.C.) annientò la famiglia reale,
sedò le ribellioni dei satrapi e combatté e
devastò l’Asia Minore, la Fenicia e la Siria.
Nel 341 a.C. vince in battaglia il faraone
Nectanebo, ridusse nuovamente l’Egitto a satrapia
persiana e decretando formalmente, e per sempre,
la fine dell'indipendenza egizia.
Artaserse, faraone e iniziatore della XXXI
Dinastia, si macchiò degli stessi sacrilegi di
Cambise, abbattendo le mura delle città più
importanti, saccheggiando e derubando i maggiori
santuari del paese, prelevando una enorme quantità
d'oro e d'argento, portando via anche i documenti
scritti, che verranno riconsegnati in seguito dal
suo successore, ai sacerdoti, dietro il pagamento
di ingenti somme.
Dopo aver nominato Ferendate come satrapo, rientrò
a Babilonia, portando con sé tutti i beni e i
trofei rubati al nemico. Nel 338 a.C. verrà
avvelenato dal suo intimo amico e potente eunuco
egiziano Bagoa; il suo posto verrà preso dal
figlio minore Arses. |
Certo rimane il fatto che non era intenzione di Alessandro
introdurre un rito esotico all’interno dei rituali
ellenici, ma la sua si può definire una forma
rispettosa dei luoghi nei quali si trovava (come aveva
fatto a Sardi e a Tiro) verso le divinità che ogni
volta venivano identificate con quelle olimpiche.
La visita al toro di Api all’interno del suo santuario o
all’immenso tempio funerario di Saqqara, si devono
piuttosto interpretare come una curiosità innata, una
forma di conoscenza paraempirica a base aristotelica
e, come nel caso del toro, una voglia di rivisitazione
del passato, in quei luoghi in cui erano avvenute
azioni memorabili che avevano cambiato il corso della
storia. A Saqqara dopo la morte i tori erano venivano
mummificati, e dopo essere stati conservati ricevevano
l'adorazione dei fedeli come un'unica entità che ogni
volta riviveva sempre in Osiride-Api (Wsr-Hp),
principe degli inferi.
Una volta acclamato faraone, Alessandro ricevette le stesse
definizioni che avevano avuto tutti i suoi
predecessori: figlio e prescelto da Ra, prediletto da
Amon, dio che si manifesto al pari di Horus e
ovviamente signore dell'Alto e del Basso Egitto.
La cerimonia di incoronazione, benché venga messa in
dubbio, avvenne certamente a Menfi. Tuttavia la
permanenza nella capitale fu breve; un’importanza ben
maggiore rivestiva il santuario di Ammone nell'oasi di
Siwah.
Il figlio di Ammone
Inebriato del trattamento ricevuto,
il pio Alessandro decise di recarsi
presso l’oracolo di Ammone per farsi rivelare il
proprio destino.
L’oracolo, che si trovava nel deserto Libico presso
l’attuale oasi di Siwa, era
celeberrimo anche al mondo greco; il santuario
centrale
riceveva offerte e deferenze e fin dal
V secolo a.C.
era centro di pellegrinaggio,
considerato dai Greci al pari di quello delfico
(Hdt. III, 25.3 - 26.3).
Infatti il dio libico Ammone era una manifestazione locale
di Zeus, come risulta chiaro dai frammenti lasciati
dallo storico-filosofo Callistene.
Era il primo dei tre grandi oracoli
da cui parlava Zeus, che s’interfacciava con quelli
che si trovavano in Ellade,il primo nella regione da
cui proveniva la madre Olimpiade, a Dodona in Epiro,
mentre il secondo ad Afitide nella Calcifica. Qui si
trovavano templi omonimi in cui il dio libico era
rappresentato adornato con corna spiraliformi di
montone.
Alessandro doveva essere stato imbevuto di quel culto si da
piccolissimo, ad opera della madre, che gli aveva
inculcato il fardello della discendenza diretta da
Zeus: i suoi antenati, Eracle e Perseo, erano stati
pellegrini ed adoratori nell’oasi ammoniana (Call.
FGrH 124 fr. 14a, Arr. III, 3.1-2, Curz. Ruf. IV,
7.8).
Il carisma che Alessandro esercitava sui suoi uomini,
grazie al quale riceveva da loro una dedizione
assoluta, gli derivava in parte dalla sua stessa
convinzione che lui fosse figlio di Zeus Padre.
Cercava sempre il confronto e le sfide, in quella
commistione tra emulazione e superamento del limite,
che magari ad altri non erano riuscite, sfatando miti
e leggende inaccessibili agli esseri umani, volle
riproporre la sfida che Cambise non era riuscito a
compiere, perdendo nell'impresa 50.000 uomini:
desiderava ardentemente attraversare i 550 chilometri
di deserto da
Paretonio (Mersah Matruh), fino
all’oasi occidentale di Siwa, non passando per le
carovaniere più facili e moderne da Cirene e da Menfi,
ma tagliando in modo avventato: la sfida avrebbe
conferito in questo modo un'aura di indefinita
immortalità.
Dopo gli onori e le brevi escursioni a Menfi e nella
Tebaide, s'imbarcò per ridiscendere il Nilo, con un
contingente di fanteria leggera, navigando fino al
braccio occidentale verso la bocca canopica. Li rimase
impressionato dalle potenzialità dello stretto istmo
tra foce e mare che ospitava la stazione portuale di
Racotide sulle rive del lago Mareotide. Quel punto
sarebbe stato il luogo destinato alla grande
fondazione di Alessandria, ma ciò sarebbe avvenuto
dopo la formalizzazione del suo status
iperuranico.
Prendendo una strada abbastanza inconsueta e poco
frequentata, Alessandro giunse
alla città di Paretonio
sulla costa libica. Dopo circa 290 km
la spedizione giunse al villaggio di Apis,
che a sua volta distava 260 km da Siwa.
Qui si fermò brevemente per accogliere
una delegazione da Cirene, venuta a offrire ricchi
doni tra cui alcuni carri da guerra con relativi
cavalli, che lo invitava a visitare il territorio.
Ma per il momento al macedone non interessava quel
territorio e l’azione fu limitata ad un approccio
diplomatico, con la stipula di un trattato di pace e
di alleanza. La Cirenaica (Libia Orientale) non
avrebbe fatto parte del suo impero, ma ormai la sua
attenzione verso quest’area del Mediterraneo era stata
attirata. Forse fu proprio in questo momento che si
concretizzarono le prime idee di conquista in quel
settore.
Proseguì velocemente dunque la marcia verso sud.
Da questo punto, il viaggio da semplice pellegrinaggio
si trasformò in un’avventura: nella depressione di Qattara la situazione si complicò, non solo per il
clima torrido del deserto, ma anche perché la guida,
non abituata a quella strada, si smarrì
e il Re col suo seguito rischiò di perdersi nel
deserto.
Ammone, non potendo abbandonare il suo più famoso
pellegrino e, secondo Plutarco
(Plu.,
Alex. 27 e Rom. Alex I, 30),
mandò una pioggia abbondante e due corvi a indicare la
giusta strada nel deserto cancellata
dal vento proveniente da sud.
Giunto finalmente
al
santuario,
Alessandro ricevette alcune interessanti rivelazioni
circa la sua nascita e il suo destino, che pur
rimanendo ufficialmente segrete, presero ben presto a
circolare, e furono via via rivelate da Alessandro:
l’oracolo lo benedì col suo nuovo titolo di faraone,
figlio di Ammone e signore invitto del mondo intero.
Il procedimento oracolare era molto particolare a tratti
bizzarro ed era rimasto inalterato, come riportano le
fonti papiracee, almeno sin dal periodo del faraone
Psammetico I (664-610 a.C.). All’interno della più
profonda ed oscura camera del santuario, Ammone non
era rappresentato come una divinità antropomorfa, così
come la intenderanno i Greci almeno due secoli più
tardi, con le caratteristiche corna d'ariete, bensì si
trattava di una pietra a forma umbelicata all’interno
della quale vi erano incastonati una serie di
smeraldi.
Al momento in cui veniva posta la domanda, 80 sacerdoti
sollevavano la pesantissima portantina dorata a forma
di nave su cui si trovava. L’ondeggiare dell’intera
sovrastruttura ed il vasto repertorio di movimenti
assegnavano il sema e il responso divino.
Alessandro si recò all’interno del naos templare
senza il suo seguito e solo pose i suoi quesiti ed
ottenne le sue risposte. I dettagli rimarranno per
sempre oscuri.
Sappiamo solo che rimase profondamente soddisfatto del
responso e delle risposte ricevute. Un particolare
sembra comunque assodato, alla sola vista dell’Argeade,
il sacerdote l’appellò manifestatamene come figlio del
dio.
Lo scrittore che alcuni considerano uno
Pseudo-Callistene,
nel suo racconto lo considererà figlio di Zeus (e
quindi di Ammone)
anziché di Filippo;
e sembra che sia opera sua la storia fatta circolare
nel paese occupato in quel periodo:
Nectanebo, ultimo faraone cacciato da Artaserse III
nel 343 a.C., si sarebbe diretto alla corte macedone,
dove, assunto, grazie alla magia, l’aspetto del Dio
Ammone, avrebbe messo incinta Olimpiade.
Alessandro celebrerà l’epifania di semi-dio solo al termine
del suo regno. La cosa più importante è che aveva
trovato a Siwa la più sacra e solenne delle conferme a
questa convinzione.
Una volta ottenuto il benestare divino, che confermava ciò
che era avvenuto in terra, Alessandro tornò
immediatamente a Menfi, stavolta seguendo la via più
semplice e non prima di fermarsi ad ammirare la
spettacolare “Sorgente del Sole» ('Ain el Hamman)…
La fondazione di Alessandria (novembre 332-gennaio 331
a.C.)
Durante la sua immersione nelle sabbie egiziane
Alessandro aveva potuto riflettere a lungo su
questioni differenti da quelle belliche. Probabilmente
rifletté sul fatto che l’Egitto era un paese ricco,
sacro, mistico ma profondamente chiuso in se stesso e
che i suoi commerci erano spesso stati affidati a
mercanti fenici e che quindi non aveva un contatto
diretto col resto del Mediterraneo. L’unico emporio
greco che era stato concesso alla koinè Ellenon
e che veniva tollerato si trovava nella piccola città
di Naucrati, lungo un ramo secondario del Delta.
Naucratis
o Naukratis
Antico centro commerciale greco in
Egitto, fondato dagli abitanti di mileto sulla
riva destra del braccio canopico a
meno di venti chilometri a
occidente del Nilo di Rosetta,
probabilmente ai tempi di
Psammetico I
(VII secolo a.C.). Verso il 560 a.C., con Amasis,
il successore, i milesii ottengono la concessione
di commerciare liberamente. Riconvertito in centro
commerciale panellenico, o porto franco, venne
fondato l'Ellenion, il maggior santuario, voluto
dalle città di Chio, Tea, Focea, Clazomene, Rodi,
Cnido, Alicarnasso, Faselide e Mitilene. Inoltre
gli egineti avevano costruito un tempio di Zeus, i
samii uno di Era, i milesi un santuario di Apollo.
Le tasse erano versate direttamente al tempio di
Neith a
Sais.
Patria di Ateneo, le sue rovine sono state
individuate presso Nebireh, sul canale Abou-Dibab,
a 75 km a SE d’Alessandria. |
La caduta di Tiro aveva abbattuto definitivamente il
“monopolio” fenicio in oriente, Naucrati ormai era
stata annullata dall’ingerenza persiana ed era
necessaria una grande base cosmopolita, in cui i Greci
si fondessero con gli Egiziani in un porto in grado di
essere recettore economico, culturale e artistico, in
grado di soddisfare una richiesta di domanda/offerta
commerciale notevole.
Ritornato nei pressi della costa da Siwa, durante il
viaggio di ritorno a Menfi, ripercorse la strada fino
alla bocca canopica del Nilo e, su una delle isole del
Delta, diede ordine di dare inizio alla cerimonia di
fondazione della città di Alessandria.
La data di inaugurazione per la creazione del perimetro
cittadino, sarà celebrata nel periodo romano il 7
aprile (25 Tybi secondo il calendario egizio).
Alessandro decise, e sovrintese personalmente lungo la
spiaggia, la demarcazione del perimetro del futuro
centro della città portuale sotto le sue indicazioni
che si proponeva dovesse divenire per lo meno la
capitale economica del paese.
La capacità di vedere ‘avanti’, permise ad Alessandro
di valorizzare un luogo apparentemente inospitale alla
foce del braccio occidentale del Delta del Nilo, su un
sottile tombolo terroso, tra il Mare e la palude
Mareotide. In questo luogo, prospiciente all’omerica
isola di Faro (Pharos) venne fondata
Alessandria.
Il Macedone diede solamente l’incipit ai lavori che
furono poi lasciati ad una squadra di architetti al
comando di Dinocrate, che disegnò e concepì la pianta
secondo criteri rigorosamente geometrici. La città era
dotata di due enormi strade, due assi viari larghi
ortogonali, entrambi più di 30 metri, su cui si basava
l’intera struttura urbanistica della città, uno,
quello detto “Via Canopica”, considerato il più
importante era perfettamente orientato in senso E-O.
La “Via Canopica” era affiancata da altre sei grandi
arterie, tre per lato, parallele, mentre la sua
intersezione era fiancheggiata da 15 traverse minori
che arrivavano fino al mare.
Da qui si dipartiva un molo che avrebbe collegato la
riva alla prospiciente isoletta di Faro, su cui
sarebbe sorta una delle sette meraviglie del mondo;
l’ingegneria militare che aveva concepito e realizzato
la costruzione del molo per la conquista di Tiro,
venne impiegata per un’opera d’ingegneria civile
edile.
Il molo avrebbe avuto un nome, “Eptastadion”
(lungo sette stadi), in questo modo si dotava la città
anche di una banchina d’attracco che garantiva la
possibilità che almeno uno dei due lati fosse sempre
sottovento, mentre l’isola di fronte, ampliata e con
il riferimento notturno al di sopra, era al tempo
stesso un frangiflutti portentoso ed un riferimento
nella notte.
Non sappiamo se sarà lo stesso Alessandro a progettare
quelle opere che sotto Tolemeo I, avrebbero dato alla
città gloria, onore e ricchezza per i secoli a venire,
anche se dobbiamo pensare che per alcuni di essi
l’impronta del Generale fu evidente: il grande canale
del Nilo, l’acquedotto, la biblioteca e il faro.
Pochissimi giorni di marcia dopo, risalendo la corrente del
Nilo raggiunse Menfi. Lì lo aspettava l'esercito,
rinfrancato dall'inverno passato nella valle del Nilo
davanti al quale offrì un sommo sacrificio a Zeus, la
divinità che nell’oasi di Siwa lo aveva proclamato suo
figlio, laddove
il sacerdote oracolare non solo lo aveva acclamato
come figlio di “Amon” ma gli aveva promesso anche il
dominio del mondo intero allora conosciuto.
La propaganda o l’autoconvinzione, o solo l’ingraziamento
del popolo egizio, portarono il giovane Re a
immergersi totalmente nelle cerimonie indossando vesti
egizie e abbracciando il loro cerimoniere.
Bisogna anche considerare che mentre per un Greco era
una cosa eccezionale essere considerato figlio di una
divinità, per gli Egizi era naturale considerare il
faraone incarnazione di Horus e figlio di Ammone.
Con questa conferma, ottenuta in terra straniera,
accadeva per la prima volta dopo un millennio che una
persona semimitica fosse considerata figlio di una
divinità. Dopo Eracle, lui era il primo ad essere nato
da Zeus e quindi in Grecia dopo un millennio era
rinato un semidio e quindi una personalità dalle
caratteristiche iperuraniche.
Il Monarca riservò all’Egitto un trattamento del tutto
particolare. Non venne considerato una provincia come
le altre:
non venne nominato un governatore Macedone o un
satrapo di tipo persiano, come per le altre regioni.
Vennero nominati due governatori autoctoni, Petisi e
Doloaspi, e solo l’amministrazione finanziaria venne
affidata ad un mezzo-greco, Cleomene di Naucrati.
A uomini macedoni e greci, figure di secondo piano,
rimanevano solo le cariche militari e l’assegnazione
di 4000 uomini di guarnigione divisi in due
tranches: a Peuceste, figlio di Macerato, andò il
Basso Egitto, mentre a Balacro, figlio di Aminta, il
governatorato militare dell’Alto Egitto.
A nessuno dei nobili vennero concesse delle terre o
cariche governative di un certo valore. L’Egitto
diveniva quasi un possesso privato di Alessandro,
amministrato da autoctoni estremamente di fiducia o da
persone caratterialmente malleabili, manovrabili o
deboli. Alla potente nobiltà macedone non rimaneva
davvero nulla
Il fattore divino e quello governativo non erano privi
di conseguenze politiche.
Probabilmente alcuni militi Macedoni e Greci, in particolar
modo quelli più anziani, non videro di buon occhio l’autoproclamazione
divina non considerando il re un dio:
i veterani iniziavano ad innervosirsi delle questioni
umane e divine poiché definirsi figlio di Ammone
avrebbe implicato l’estromissione di Filippo, che era
venerato tra di loro.
I soldati, abituati a trattare il loro signore come un loro
pari, gli chiesero se si considerasse un uomo o un
dio. Alessandro li riassicurò sul fatto che lui stava
solamente abbracciando la cultura locale che
considerava divina la natura del faraone. Questa
risposta non diede la convinzione degli eventi e delle
intenzioni a tutti...
L’irritazione ancora maggiore per i Macedoni dovette
venire dalle decisioni di Alessandro riguardo
l’amministrazione della nuova provincia e alle mancate
assegnazioni di cariche e terre.
Nella primavera del 331 a.C. la spedizione s’incamminava
nuovamente verso l’Asia. Ora Alessandro doveva solo
pensare a rendere più sicura la situazione alle sue
spalle prima di andare nuovamente in contro a Dario
che avrebbe dovuto incontrare nello scontro finale.
Dal deserto del Sinai si diresse ancora lungo la costa
mediorientale e rientrò a Tiro dove prese le decisioni
che lo avrebbero fatto partire per la spedizione nel
cuore della grande Asia: nominò un tesoriere in Siria;
rimosse le guarnigioni da Chio e da Rodi, poiché
la conquista dell'Egitto aveva eliminato il pericolo
persiano dal Mediterraneo;
come ultimo atto, rinviò gli opliti ancora in ostaggio
dal Granico ad Atene.
Questi tre atti sancivano definitivamente la certezza delle
proprie azioni e delle proprie conquiste che aprivano
allo scontro diretto con Dario. |