N. 8 - Gennaio 2006
ALESSANDRO MAGNO.
ALESSANDRO III DI MACEDONIA
L'impresa d'Oriente e
il Granico
- Parte IV
di
Antonio Montesanti
Il
primo corpo di spedizione, inviato da Filippo in Asia
al comando di Parmenione, fedele e valoroso generale e
di Attalo, fatto assassinare, non era riuscito a
riportare grandi successi. L’unico vero obbiettivo
raggiunto era quello minimo che sarebbe servito ad
Alessandro per iniziare la sua campagna d’Asia: la
presa dei punti di accesso ai Dardanelli: le
roccaforti di Abido (e Sesto) e Cizico. Tuttavia la
situazione che vedeva la partenza per l’Asia come
imminente, non prometteva nulla di buono: l’Illiria,
non sedata, ma appena redarguita, continuava a
ribellarsi; in Ellade, Etoli, Acarnani, Spartani e
Arcadi si aggiravano in una situazione di
indipendenza/inimicizia verso il re macedone, il quale
non aveva neanche punito i peloponnesiaci che avevano
tentato di portare aiuto a Tebe.
Parmenione, rientrato dall’Asia, interrogato dal re
sulla situazione in Anatolia considerava rischioso un
inizio imminente della campagna militare, ritenendo
che sarebbe stato più giusto attendere prima di
partire. Antipatro avrebbe seguito la linea
dell’anziano generale, ma il giovane argeade non volle
sentire ragioni: era pronto e deciso ad iniziare. Anzi
era convinto che era passato fin troppo tempo e che i
Persiani si stavano preparando ad una difesa efficace.
La
campagna doveva durare almeno più di due o tre anni,
per questo motivo sarebbero stati necessari
quantitativi d’argento quasi infiniti che non potevano
essere estratti o ricavati esclusivamente dal lavoro
nelle miniere del Pangeo.
Dalla vendita dei Tebani, ridotti in schiavitù, le
casse dell’erario ricevettero 440 talenti d’argento:
una cifra spropositata! Ma l’eredità paterna, il
continuo lavoro nelle miniere, i proventi della
vendita dei Tebani, non furono impegnati nei
preparativi effettivi ma nell’allestimento di
festività che si tennero a Dion, fortemente volute dal
re, in onore di Zeus e delle Muse.
Dopo
aver esaltato la Grecia intera con queste feste e aver
dato un acconto alle truppe in partenza, rimase con
soli 70 talenti. Per questo fu il primo a dare
l’esempio: impegnò le proprietà della famiglia ai suoi
ufficiali ottenendone in cambio altri 200 talenti in
prestito. Ed i suoi generali, non le considerarono mai
di loro proprietà, poiché in molti decisero di
investire sull’impresa. È ovvio che durante la
campagna la maggior parte degli introiti si sarebbero
ottenuti dai proventi dei saccheggi delle risorse dei
paesi che si sarebbero invasi e dal bottino e dai
tesori trafugati.
Durante l'inverno del 335 a.C. vennero radunati a
Pella tutti i contingenti che avrebbero composto il
suo esercito d'invasione, in tutto 32/33.000 fanti e
5000/5500 cavalieri circa: 12.000 fanti pesanti
macedoni che avrebbero formato la falange e gli
Ipaspisti furono assegnati al comando di Nicanore
figlio di Parmenione, i cui battaglioni e reggimenti
furono suddivisi tra i subcomandanti Cratero, Perdicca,
Ceno, Aminta e Meleagro; 7000 opliti greci, ‘concessi’
dalla Lega Ellenica saranno guidati da un altro
veterano, Antigono Monoftalmo, 5000 mercenari di
fanteria pesante, 7000 fanti leggeri tra i Traci,
Triballi e Illiri, 1000 arcieri cretesi e 1000 Agriani.
La cavalleria era composta da 1800 Tessali guidati
direttamente da Parmenione, 1800 Macedoni al cui
comando vi era un figlio di lui, Filota, 600 Greci e
900 Traci e Peoni; inoltre vi era un gruppo ristretto
formato da eteri tra i quali spiccavano Efestione,
Nearco, Tolemeo, Leonnato, Seleuco e Lisimaco e che
fungevano anche da guardia privata di Alessandro e
sotto il suo controllo diretto in fase bellica.
Quando si fosse ricongiunto con l'avanguardia che
presidiava l’area degli Stretti, in Asia, l'intero
corpo avrebbe raggiunto le 50.000 unità.
La
Lega di Corinto fornì una flotta di 160 navi,
comandata da Nicanore, omonimo del figlio di
Parmenione, che doveva seguire e proteggere il
contingente alleato. Le città greche in effetti non
diedero il massimo nei servigi al re: Atene, per
esempio, delle 277 navi da guerra attraccate ai porti
Pireo, Zea e Munichia, ne inviò solo 20.
Numeroso personale non combattente accompagnava la
spedizione. L’esercito era dotato di un vero reparto
del genio, guidato dall’ingegnere Diade, che avrebbe
costruito arieti, torri, macchine d’assedio, ponti
mobili utilissimi anche nella logistica. Ancora più
utile doveva risultare il servizio informazioni, di
cui facevano parte tanto le spie che gli interpreti, e
sarà risolutivo, tutte le volte che ci sarà bisogno di
qualche disertore, transfuga, pastore locale, per
scoprire passi o sentieri non presidiati dal nemico
che consentissero quindi di aggirarlo, come avevano
fatto i Persiani alle Termopili. Insieme all’esercito
si muovevano i bematisti, i topografi, che misuravano
le distanze tra un luogo e l’altro contando i passi. I
loro appunti comprendevano pure le descrizioni delle
regioni attraversate, e sarebbero stati la base di
tutte le conoscenze scientifiche e geografiche
sull’Asia, per i tempi a venire.
Accanto ad essi la Grecia mandò i suoi filosofi
migliori e uomini di cultura. Si distingueva
Callistene, cugino di Aristotele, che rivestiva il
ruolo di cronista ufficiale della spedizione,
Anassarco, Pirrone, e Onesicrito, un filosofo cinico
che doveva compiere un’opera storica sulla campagna
asiatica. Erano accompagnati da, zoologi, botanici,
geologi e medici che raccoglievano campioni ed
esemplari di piante e minerali per inviarli ad
Aristotele.
Grande cura era riservata al servizio di sussistenza e
ai medici, e difatti non si sentirà quasi mai parlare
di pestilenze in campo macedone. C’erano attrezzature
e personale sufficiente ad allestire ospedali da campo
per i feriti. Alessandro che per se non chiese nulla
di ulteriore rispetto ai suoi commilitoni, volle solo
uno staff medico tutto per sé.
Il servizio della cancelleria, della corrispondenza e
della redazione del diario ufficiale curata dal greco
Eumene di Cardia, mentre la tesoreria era affidata ad
Arpalo. I sacerdoti e gli indovini, immancabili
compagni del religioso e superstizioso sovrano, erano
guidati da Aristandro di Telmesso.
Dalla Grecia provenivano a titolo non ufficiare anche
altri civili, come i vivandieri, mercanti, o le donne
di quei mercenari che si portavano dietro la famiglia.
Pertanto il contingente di 40000 uomini doveva
contarne quasi il doppio.
La campagna della più grande e potente forza di
spedizione che avesse mai lasciato l’Europa cominciò
all'inizio della primavera del 334 a.C. Una forza di
difesa quasi altrettanto potente, un numero pari di
falangiti e di cavalieri strettamente macedoni furono
lasciati in Ellade sotto la guida di Antipatro, che
avrebbe ivi ricoperto la carica di reggente e
rappresentante legale di Alessandro presso il sinedrio
della Lega Ellenica, inoltre in qualità di hegemón,
poteva contare su ampie risorse per affrontare
qualsiasi eventuale opposizione nel mondo greco.
L’itinerario simbolicamente, ricalcò la via percorsa
da Serse nell'invasione, costeggiando il lato
meridionale del massiccio del Pangeo fino a Filippi,
procedendo via Abdera e Maronia fino all'Ebro, e
quindi fino al fiume Melante all'inizio del Chersoneso
e piegando poi a sud verso Sesto sull’Ellesponto.
L'intero tragitto, di poco superiore ai 500
chilometri, fu coperto in venti giorni.
La
sosta di fronte agli stretti, tra Abido e Sesto,
esattamente tra l’imbarco di Eleunte e il luogo dello
sbarco, probabilmente, al Reteo, fu molto prolungata a
causa della mole dell’esercito imbarcato su 60 navi
per il cui trasbordo ci vollero probabilmente diversi
giorni. Mentre il grosso dell'esercito procedeva con
le operazioni di sbarco e lentamente si dirigeva a
Nord-Est, Alessandro ne approfittò per portarsi ad
Eleo, punto d'attraversamento per la Troade. Questi
luoghi erano ricoperti di un senso mistico, quasi
magico: il teatro della prima grande spedizione
panellenica in Asia, quella per la guerra contro
Troia.
Durante le campagne del 490-480 a.C. i Persiani
avevano saccheggiato sia il tempio di Protesilao a
Eleo sia la stessa Atene arrecando indirettamente
offesa alla stessa dea Iliaca, protettrice della
Troade. Presso il Protesilaion ad Eleo offrì sacrifici
davanti alla tomba dell’eroe quindi a Poseidone e alle
Nereidi. Poi giunse sulla sponda opposta presso il
Porto degli Achei, dove il re, rimarcò ed imitò quello
che avevano fatto, secondo le fonti per primo o
Protesilao o Achille (secondo le versioni), balzando a
riva rivestito dell'intera armatura, scagliando la
lancia nella sabbia, proclamando che prendeva possesso
della terra e che avrebbe combattuto per la sua
conquista.
In
questo modo, propiziatorio, era fondamentale
soprattutto il richiamo del passato. Quindi si diresse
al santuario di Atena ad Ilio dove si procacciò la sua
benevolenza per la guerra, qui scambiò la sua armatura
da parata con le reliquie custodite nel tempio e che
al pari di insegne avrebbero dovuto precederlo in
battaglia. Tributò onori agli eroi del passato, suoi
antenati eacidi, ad Aiace ed Achille. Sulla piana
dello Scamandro, poi, rese omaggio alla tomba del
Pelìde che suo eroe e modello a cui s’ispirò per le
sue imprese.
Non
poteva interpretare la guerra contro i Persiani in
chiave erodotea come un esempio dell’antagonismo tra
greci e barbari, tra occidente ed oriente, poiché
nelle sue vene scorreva anche una parte di sangue
troiano attraverso la parte epirota: i molossi, i
quali derivavano le sue origini da Neottolemo, figlio
di Achille e Andromaca. Per Alessandro i troiani non
erano barbari, ma greci, elleni, in suolo asiatico. L’ellade
era formata dall’unione delle due sponde dell’Egeo.
Iniziò proprio con la città di Ilio la liberazione del
suolo d’Asia. Governata, al pari di molte altre città
Greche dell’Asia Minore, da una oligarchia
filopersiana, questa sostituita da un governo
democratico, la città veniva proclamata libera ed
esente da tributo.
Il
macedone ritornò di nuovo verso Nord dove raggiunse
l’esercito nella vasta piana di Ariste, presso Abido,
evitò Lampsaco e si diresse verso Dascilio.
La
difesa persiana disposta presso la costa della
Propontide, aveva il suo quartier generale a Zelea,
cittadina 15 chilometri all'interno rispetto alla foce
del fiume Esepo, dove i tre satrapi Arsine, Arsamene e
Spitridate e il generale Memnone di Rodi, erano al
comando di 20.000 cavalieri e meno di 20.000 mercenari
greci, mentre la fanteria persiana era molto più
numerosa.
A
Zelea si tenne un consiglio di guerra per discutere la
loro strategia: l’ammiraglio Memnone suggerì di
ritirarsi verso l’interno, facendo terra bruciata,
distruggere i raccolti, e impedire all’esercito
ellenico di rifornirsi di cibo e foraggio per i
cavalli, mossa che sarebbe stata particolarmente
adatta nel periodo che precede il raccolto. In questo
modo sarebbe stato ridotto alla fame dalla sua stessa
mole.
La
sua proposta venne avversata e immediatamente respinta
dai suoi colleghi, soprattutto dal satrapo della
Frigia Ellespontica, Arsite, fosse riluttante a vedere
devastato il proprio territorio, che propose una
veloce risoluzione della guerra. I successi persiani
degli anni precedenti, peraltro limitati, dovettero
certo creare delle aspettative di vittoria sul giovane
re, che in Asia era ancora sconosciuto. Del resto i
satrapi erano fiduciosi della forza del loro esercito,
e soprattutto della loro superba cavalleria che aveva
inflitto diverse sconfitte agli eserciti Macedoni
nella campagna dell’anno precedente. I persiani
inoltre diffidavano del greco Memnone, sospettandolo
di voler prolungare la guerra a proprio vantaggio.
Decisa la linea da seguire, i persiani si attestarono
in una posizione difensiva e nella piana alluvionale
di Adrastea, da dove mossero incontro ad Alessandro,
impedendo ogni movimento macedone a est verso Zelea e
Cizico, per attaccarlo al passaggio del Fiume Gránico,
un torrente che sfocia nel Mar di Marmara a 50 Km a
ovest di Cizico.
L'avvistamento dei persiani avvenne quando Alessandro
si trovò in prossimità della piana di Adrastea e i
suoi esploratori gli riferirono che l'esercito nemico
era attestato sulla sponda orientale del Granico e
occupava le prime alture intorno alla moderna città di
Dimetoka.
Il problema strategico deve essersi mostrato subito
nella sua evidenza. Il fiume Granico correva tra rive
scoscese, attualmente alte tre o quattro metri. Il suo
corso, come indicano chiaramente i resti di un ponte
romano, non è cambiato in modo significativo rispetto
all'antichità, e le sue caratteristiche fisiche
dovevano essere simili a quelle odierne. Se ciò è
vero, la profondità dell'acqua, che all'inizio della
primavera raggiunge a fatica il metro, non dovrebbe
aver rappresentato un serio ostacolo.
Il
problema era la ripidità delle rive, che impedivano un
assalto frontale su una linea estesa. La falange di
Alessandro ne sarebbe stata inevitabilmente
intralciata, correndo anche il rischio di venire
massacrata nel letto del fiume. La strategia persiana,
secondo Arriano, vedeva l'intera cavalleria schierata
lungo il bordo del fiume, mentre la fanteria
stazionava arretrata su un terreno più elevato.
Nella versione della battaglia data da Diodoro, essa
figura schierata lungo le pendici in modo da trarre
vantaggio dalla disunione della falange macedone.
Nonostante una buona quantità di dettagli, la
battaglia si trasferisce misteriosamente dal letto del
fiume alle sponde. Il secondo problema riguarda il
momento dell'attacco. Alessandro si avvicinò al
Granico, prima di sera, quando cercò il consiglio
dell’anziano Parmenione il quale propose di attendere,
per le difficoltà dell'attraversamento e proponendo
invece di sferrare un attacco all'alba. Il giovane re
respinse il consiglio.
Tuttavia sembra che il consiglio sia stato seguito,
poiché pare che Alessandro attraversò il fiume sul
fare del giorno, prevenendo l'attacco persiano, non
utilizzando quella tattica di attraversamento notturno
utilizzata lungo le sponde del Danubio contro i traci
e gli Sciiti. Che l’attraversamento sia avvenuto di
mattina o di sera poco importa: come riuscì l’argeade
a far passare il suo fronte di combattimento al di là
del fiume senza essere rigettato indietro dalla
cavalleria persiana?
L’unico dato certo è che la battaglia si risolse in
uno scontro di cavallerie, violentissimo ma breve.
Sappiamo solo che le forze macedoni furono presto
disposte in posizione di battaglia. Il dispiegamento
doveva avvenire con la fanteria disposta nel seguente
modo: gli ipaspisti e i battaglioni della falange al
centro, alla loro sinistra c’era la fanteria leggera
di supporto, gli agriani e gli arcieri. A destra si
trovava il gruppo importante di Aminta, con una forza
composita, di pródromoi e peoni, tra la
fanteria e il grosso degli etairoi. Terminata
lo schieramento della fanteria: sulla sinistra la
cavalleria tessalica, greca e tracia al comando di
Parmenione, sulla destra la cavalleria macedone al
comando di Alessandro medesimo.
Non
sappiamo se fu Aminta con i suoi pròdromoi o
Parmanione con la sua cavalleria greca a innescare la
testa di ponte. Sappiamo solo che l’esercito, con
molte difficoltà venne schierato, secondo il volere e
le disposizioni del re. L'avanguardia macedone venne
chiaramente schiacciata dalla numerosa cavalleria
persiana, tra cui c'erano Memnone e i suoi figli.
I
macedoni vennero presto costretti ad arretrare verso
il fiume. Il contraccolpo venne assorbito dalla
fanteria pesante macedone e tanto bastò ad Alessandro
perché radunasse la sua migliore cavalleria e partisse
per una controffensiva schiacciante diretta la cuore
del nemico. Guidando personalmente l'assalto in prima
linea e in maniera brillante e incuneatosi nel cuore
dei combattimenti quasi riuscì a porre fine alla
battaglia.
Una
carica persiana di riservisti si concentrò
direttamente verso quell’uomo che aveva portato lo
scompiglio all’interno delle loro file, il re venne
assalito su tutti i lati. A lui in persona si opposero
direttamente i fratelli Resace e Spitridate, l'elmo
del giovane re fu preso a spadate fino a ridurlo in
frammenti e quando stava per essere trafitto
mortalmente il tempestivo intervento di Clito il Nero
gli salvò la vita, mozzando al persiano il braccio già
levato per colpire.
Alessandro proseguì nel suo attacco e la cavalleria
macedone dimostrò rapidamente la sua superiorità: le
lance di corniolo non trovavano seri rivali nei
leggeri giavellotti dei persiani. Venne attaccata la
parte più forte e più nobile dello schieramento
orientale che deteneva il centro arretrato grazie alla
‘manovra avvolgente’ che consisteva nello sfondamento
delle due ali nemiche e nel ricongiungimento al
centro: questa manovra, di Parmenione con i ‘suoi’
Tessali e Alessandro con gli Eteri, non diede scampo
ai comandanti nemici. Perirono nell’immediato
Spitridate, satrapo della Ionia e il fratello Rasace,
per mano dello stesso Alessandro, Mitrobuzane, satrapo
di Cappadocia, Mitridate e Farnace, rispettivamente
genero e cognato di Dario.
Con
il dispiegamento completo dell’esercito, la cavalleria
persiana fu inesorabilmente costretta a ripiegare. E
il loro fronte, già seriamente provato, si spezzò al
centro e la ritirata divenne una disfatta. A questo
punto iniziò l’avanzamento inesorabile della falange
di fronte alla quale rimanevano solo i mercenari greci
e i fanti persiani che furono costretti a subire
frontalmente l'avanzata della falange e ai lati la
cavalleria, e quello che seguì fu un massacro. 18.000
furono uccisi mentre tenevano la posizione, i restanti
2000 vennero fatti prigionieri.
La
prima vittoria di Alessandro fu completa e decisiva,
ed fu sorprendentemente rapida. Tutti i satrapi si
ritirarono, Arsite, responsabile principale della
decisione presa, si suicidò di li a poco. Memnone
quindi utilizzò l’unica strategia possibile, si chiuse
nelle città costiere pronto a sostenervi gli assedi
grazie ai rifornimenti della flotta. Alessandro cremò
i suoi morti e dedicò onori speciali ai primi
cavalieri caduti considerati i principali artefici
della vittoria. Un gruppo statuario in bronzo con le
raffigurazioni dei 25 Eteri caduti in battaglia, fu
commissionato al grande Lisippo, sarebbe andato ad
abbellire Dion, la città delle Muse, da dove sarebbe
poi stato rimosso dai romani nel 146 a.C. Tributò i
dovuti onori anche ad Athena Parthenos,
inviando 300 panoplie persiane come dono votivo al
Partenone. Nell’epigramma dedicatorio, che rimarcava
la riparazione dell’invasione subita dalla Grecia 150
anni prima, includeva come vendicati tutti i greci con
la sottolineatura dell’esclusione di Sparta:
“ALESSANDRO, FIGLIO DI FILIPPO E I GRECI, AD ECCEZIONE
DEGLI SPARTANI, LE TOLSERO AI BARBARI CHE ABITANO L’ASIA”
Alle
famiglie di tutti i caduti che assommavano all’incirca
ad un centinaio furono concessi privilegi fiscali. I
mercenari greci catturati colpevoli di aver infranto
il decreto della Lega Corinzia, furono deportati in
Macedonia, perché si redimessero con il lavoro, nelle
miniere e nei campi, di cui la sassosa regione
settentrionale era rimasta notevolmente a secco.
Presentandosi come liberatore e salvatore conquistò
nuovi alleati e potenziò il suo esercito con molte
nuove reclute.
Questa battaglia fu la più importante nella carriera
di Alessandro, sebbene altre battaglie sono più
famose. Era importante perché era la sua prima vera
battaglia in Asia. La sconfitta e l’inutile strategia
persiana aprì al giovane re la via della Ionia e
lasciandogli mano libera sulla riconquista delle città
microasiatiche e sulle risorse che se ne potevano
ricavare.
Fu
un momento critico che sottolineò la debolezza di base
della campagna. Alessandro aveva intrapreso la
spedizione ancora privo di eredi e di moglie,
apparentemente contro i desideri e i consigli dei suoi
consiglieri anziani, Antipatro e Parmenione. Se fosse
rimasto ucciso, non solo sarebbe stata vanificata la
missione, ma la Macedonia avrebbe dovuto
inevitabilmente affrontare una durissima lotta per la
successione.
Poche imprese dipesero in modo tanto rilevante dalla
sopravvivenza di un singolo uomo, e tuttavia, nella
sua carriera, Alessandro si espose di continuo ai
pericoli e al caso. Ogni ferita che egli riceveva era
una dimostrazione immediata della fragilità della
struttura politica che supportava la campagna, un
rinnovato avvertimento che qualsiasi vittoria del suo
esercito poteva essere vanificata dal colpo di una
lancia o dal pugnale di un assassino.
Alessandro non solo non aveva ancora un discendente da
crescere e da lasciare in linea diretta in Macedonia
perché potesse succedergli ma non si era ancora
sposato, mettendo a rischio la discendenza argeade. |