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N. 7 - Dicembre 2005

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

L'affermazione - Parte III

di Antonio Montesanti

 

 

Nel resto della Grecia, la morte di Filippo venne accolta dalle grandi poleis con moderata soddisfazione. I vari partiti  antimacedoni all’interno delle delle entità costituite elleniche, nelle leghe, nei sinedri, pensarono al contrario di Atene ben poco a festeggiare e molto di più a concretizzare l’evento: immediatamente scoppiarono disordini tra filo e antimacedoni, dove obbiettivo di quest’ultimi era quello  di scacciare le guarnigioni macedoni presenti nei loro territori: a Tebe, in Etolia, in Elide, in Arcadia e ad Ambracia che fu l’unica città a realizzare questo proposito.


Dopo aver risolto le questioni a livello famigliare, sorgevanell’animo del rampollo la necessità di ridefinire il proprio ruolo di figlio legittimo e soprattutto legittimo successore, che riproponesse la linea d’affermazione paterna soprattutto in politica estera.

 

Nessuna delegazione delle città greche si presentò al suo cospetto per salutarlo come polemarchos (comandante, generale) della Lega, atteggiamento, evidentemente che negava implicitamente tale diritto.

 

Per questo, quello che le città-stato greche non portavano ad Alessandro come diritto, il giovane re lo esigette come diritto dinastico e dopo una breve attesa per osservare gli atteggiamenti, stabilì che un intervento decisivo dovesse essere risolutivo per ottenere il riconoscimento di comandante della Lega di Corinto nei vari stati ellenici.

 

Ripercorse esattamente le orme del padre nei suoi intenti: per prima cosa richiese la carica di arconte della Lega Tessala, concessa a Filippo a titolo vitalizio e personale, che quindi non riguardava i successori o gli eredi.

 

Dopo il diniego da parte del sinedrio tessalo a ricoprire tale carica, Alessandro si presentò nella regione tessala come un lampo, scavalcando la valle di Tempe con tutto l’esercito, per confermare, ed ottenere, il diritto paterno.

 

L’occupazione militare del suolo e l’esercito schierato gli fecero ottenere immediatamente la reiterazione del privilegio. Non contento, insieme a questo, ristabilì il suo diritto di doppio voto nell’anfizionia delfica che il padre aveva ottenuto appropriandosi di uno dei due voti dei Focesi, all’interno del cui territorio risiedeva il santuario di Delfi.

 

Ambracia venne per il momento risparmiata con un ‘do ut des’, nessuna guarnigione macedone in cambio di una sorta di soggezione apparente. Tebe fu costretta ad ospitare l’intero esercito macedone all’interno del suo pomerio, con una tracotanza da parte del monarca che tale atteggiamento spinse gli Ateniesi, colti da paura, all’invio di una delegazione per portare le scuse ufficiali. Tra questi vi era anche Demostene che prima di entrare in Beozia tornò ad Atene, evitando la fastidiosa umiliazione di fronte ad un giovane del rincrescimento ufficiale della polis intera.

 

Dopo essersi portato a Corinto, Alessandro riunì nuovamente il consiglio della Lega Ellenica che lo nominò ufficialmente comandante in capo con pieni poteri della spedizione comune contro i Persiani.


La dimostrazione di forza e un atteggiamento benevolo e sereno nei confronti  dei Greci, resero cosciente Alessandro del fatto che determinati ‘metodi’ avrebbero funzionato solo ed esclusivamente con gli Elleni, ma d’altro canto era ben cosciente che trattative, intimidazioni e concessioni non sarebbero servite nei riguardi delle popolazioni del nord.

 

Quello che fece scattare all’improvviso il re contro i popoli che ‘accerchiavano’ la Macedonia fu il rifiuto del pagamento del tributo al nuovo re: erano necessarie una serie di campagne militari per ricondurre all’obbedienza Traci, degli Sciti e degli Illiri.

 

Il neos basileus partì da Anfipoli nella primavera del 335 a.C., fece tappa a Filippi, per prima cosa portò la sua attenzione verso i Traci: dapprima s’impose sulla tribù degli Edoni presso il monte Emo, quindi si spinse fin dentro il territorio dei Triballi, che occupavano l’area più orientale tra i Balcani e il Danubio lungo il fiume Naisso.

 

Il loro re, Sirmo, intuì la pericolositàdell’evento e dopo aver portato l’intero esercito su una delle decine di isole del delta danubiano, chiamata Peuce, da qui chiamò in aiuto gli Sciti, perché oltre ad accoglierli nel loro territorio, dall’altra parte del fiume, si unissero a loro nel combattere il comune nemico.

 

I Triballi lasciaroo una piccola parte del loro contingente sulla sponda destra del fiume per infastidire le operazioni d’imbarco dell’esercito macedone, ma Alessandro dapprima isolò questo piccolo contingente e in seguito dopo averlo rincorso lo affrontò frontalmente sterminandolo dopo una dura battaglia presso il fiume Ligino. Quindi si rivolse ai contingenti uniti di Traci e Sciti.

 

Il Macedone richiese alcune navi bizantine per le operazioni di sbarco, che però erano incredibilmente troppo grandi e difficili da manovrare lungo le correnti danubiane, necessitando di un punto d’attracco ben definito.

 

Alessandro, dopo la scalata della valle di Tempe in Tessaglia utilizzò per la seconda volta il suo senso tattico e adattativo utilizzando nel luogo in cui si trovava quello che il luogo offriva ed usava per vivere. Le grandi navi bizantine erano troppo ingombranti per le operazioni di imbarco e sbarco, troppo lente e troppo visibili.

 

Alessandro pagò perché al suo servizio fossero messe tutte le imbarcazioni presenti nell’area: si trattava di zattere, barche piccole e imbarcazioni di piccola taglia. Nella notte senza farsi accorgere di nulla spostò gran parte dell’esercito sulla sponda nemica, quindi schierò la falange e attese l’alba.

 

Gli Sciti si diedero immediatamente alla fuga inseguiti prontamente dai Macedoni che si diedero a raziare il territorio della steppa e villaggi di coloro che avevano appoggiato i Traci, verso i quali si rivolsero al ritorno e che si arresero immediatamente con una pace (o atto di sottomissione) onorevole: non vi furono schiavi né prigionieri; Alessandro richiese “solamente” il pagamento del tributo e massicci arruolamenti di Triballi tra le sue file.

 

Terminata questa prima campagna Alessandro, scampato alla morte, per aver condotto la campagna con pochissime vittime e per l’attraversamento indenne s’ingrazio le tre divinità che lo avevano protetto: Zeus Sothres (Salvatore), Herakles e la divinità fluviale Istros.

 
Passando in linea orizzontale e sfiorando appena i confini macedoni, Alessandro si rivolse verso altre due popolazioni, questa volta stanziate nel settore nord-orccidentale: i Peoni e gli Illiri.

 

Prima entrò nel territorio del Traci più Orientali: gli Agriani, che occupava il territorio tra il corso dei fiumi Strimone e Nesto. I traci Aglriani si dimostreranno sempre fedeli e tra le truppe migliori di cui Alessandro si servirà nel futuro.

 

Qui venne avvertito della pericolosissima coalizione che si stava formando tra le tribù degli Illiri e quella dei Taulanti, ambedue già sconfitte dal padre e venne fornito di quei rinforzi decisivi per le sue campagne in queste regioni.

Drammatico fu l’assalto alla capitale il lirica: Pelion, nonostante la sua posizione totalmente rinforzata e circondata da montagne, che Alessandro non temette  di cingere d’assedio.

 

Dispose il campo presso le mura della città il lirica e poco dopo si rese conto che quelle stesse montagne erano le mura del suo campo, che a sua volta fu immediatamente circondato e preso d’assedio.

 

La difficoltà di non poter schierare la falange lungo i corsi d’acqua e i dirupi vide un soccombere iniziale dei macedoni, la cui situazione venne risolta, con un’incursione tesa a sfondare gli assedianti, proprio dagli Ariani, che bene conoscevano quei campi di battaglia.

 

Rotto l’assedio Alessandro si rivolse verso gli Illiri e i Taulantii cercando di raggirali per costringerli nella città. Questo accadde, ma la capitale il lirica venne incendiata e Alessandro si preparò ad inseguire i nemici a nord verso i balcani.

 

L’assenza di notizie del monarca dalla grecia si stava trasformando in notizie di una disfatta totale con la morte in combattimento dello stesso Alessandro. Queste notizie erano state immesse all’interno delle città-stato dall’opera sobillatrice degli emissari del Gran Re di Persia Dario III.

Quest’ultimo dopo aver soppresso definitivamente la rivolta in Egitto si dedicava finalmente al problema macedone. Non era nelle sue intenzioni quella di condurre un esercito sterminato come quello imperiale verso le coste egee dell’Asia  minore dove i satrapi erano ancora impegnati nello scontro con Attalo e Parmenione, i quali ancora a loro volta conservavano le roccaforti sui Dardanelli.

 

Per questo Dario preferì agire diplomaticamente: propose un’alleanza agli Ateniesi, inviando una cifra immensa (300 talenti) che Demostene utilizzò per l’acquisto di armi che a sua volta distribuì in tutte quelle città che avevano grandi sommovimenti antimacedoni soprattutto a Tebe, nel Peloponneso, in Etolia, Acarnania e Focide.

 

Su consiglio persiano Demostene provò a corrompere Attalo e l’intero esercito macedone in Asia in un complotto che venne immediatamente scoperto da Ecateo, mandato con questo scopo da Alessandro dopo il rientro di Parmenione. Attalo e la nipote Cleopatra e la figlia di questa vennero uccisi.

 

I soldi del re Persiano e le voci incontrollate sulla morte di Alessandro portarono la Grecia intera ad una sollevazione generale. Ad Atene vennero assassinati i capi del partito filomacedone Timolo e Anemeta, a Tebe veniva assediata la guarnigione macedone asserragliata nella Rocca Cadmea.

 

Grazie ai soldi persiani si sollevarono in serie Etolia, Arcadia ed Elide e gran parte del Peloponneso. L’alleanza di Cheronea di tre anni prima (338 a.C.) si ricostituiva e come tre anni priam seguendo lo stesso iter paterno Alessandro scendeva dal nord per sedare la rivolta, le cui notizie lo avevano raggiunto immediatamente.

 

Dopo avera abbandonato la campagna il lirica, Alessandro si presentò dopo 14 giorni sotto le mura di Tebe, che nel frattempo aveva tentato inutilmente di corrompere la guarnigione macedone, senza successo, per mancanza di denaro, lo stesso che mancò al momento in cui gli Arcadi sarebbero dovuti entrare in Attica e quindi in Beozia.

 

Alessandro aveva ben chiaro quello che doveva fare: prese combattenti da Orcomeno, Platea e Tempie distrutte da Tebe tra il 372 e il 364 a.C. e li mise a contrattare la resa che durò alcuni giorni, vista la pazienza del macedone che confidava nella ragionevolezza dei Beoti, i quali, circondati da fortificazioni di fortuna e con esercito di 6.000 unità contro uno di 30.000 si sarebbero arresi…

 

Alessandro decise di attaccare frontalmente a scaglioni, i primi due urti furono respinti ma il terzo sfondò la linea di difesa tebana e il battaglione sacro. L’esercito fu sterminato.

 

Quindi si decise sul da farsi con l’imposizione di un tribunale federale, in cui lo stesso Alessandro rimase al di fuori: il tribunale, interamente filomacedone e presieduto dai nemici di Tebe, declamò che la città fosse rasa al suolo come era successo per Olinto e che la popolazione intera venisse venduta come schiava. Le unche due aree della città che vennero risparmiate furono la storica Cadmea e la casa del poeta Pindaro che aveva cantato le odi della dinastia Macedone; inoltre venne decisa la ricostruzione delle città che erano state nemiche storiche della ittà edipea: Platea, Tespie e Orcomeno.

 

La stessa sorte sembrava essere pronta per Atene, che cadde nel panico e nella confusione più totale: da una parte venne inviato il più filomacedone degli ateniesi, Decade, a trattare con Alessandro e dall’alrta si preparavano le difese.

 

Alessandro chiese in un primo momento condizioni durissime per la resa, poi si accontentò dell’estradizione di Demostene, Iperide e Licurgo, anche se alla fine si accontentò solo dell’esilio di Carete e Caridemo, qust’ultimo si rifugiò immediatamente presso Dario.

 

Nonostante la resa Atene fu trattata con un occhio di riguardo vista la sua importanza e forza sui mari, che non venne sottovalutata mai dal macedone; a Sparta venne concessa ancora la possibilità di ratificare la nuova alleanza della Lega di Corinto e rifiutandosi nuovamente, stavolta fu isolata dal resto del mondo; Alessandro venne confermato come polemarchos autokrator dalla Lega e continuatore della missione contro la Persia.

 

(Arr., Anabasi I 1, 4-10, 6; Diod. XVII 8-15; Plut., Alex. 11-13; Demost. 20; 23; Aesch., Contra Ctesiphon 156, 239 sg.; Din., Contra Dem. 10; 18; 24).



 

 

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