N. 6 - Novembre 2005
ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI
MACEDONIA
La presa del potere - Parte II
di
Antonio Montesanti
Il
proclama di Filippo all’assemblea di Corinto nel 337
a.C. aveva come fine ultimo quello di realizzare una
grande Lega Greca e promuovere una spedizione contro i
Persiani, sconfitti definitivamente 150 anni prima (479
a.C., Platea e Micale),
che detenevano le aree di confine con le poleis
greche solo in Asia Minore.
Anche se una parte degli Elleni non era in accordo
con il Re Filippo, perché coercizzati in un’azione del
genere, la maggior parte, soprattutto le classi meno
abbienti e quelle dei commercianti, erano a favore di
una campagna che se li avesse visti vincitori li
avrebbe resi lo stato più ricco e potente del mondo
conosciuto.
È
noto che le classi più povere avessero interesse alla
guerra perché, da una parte i continui scontri tra le
poleis continentali avevano ridotto ai minimi
termini le casse dello stato e quindi impoverito i
substrati, mentre dall’altra benché fosse il mestiere
più pericoloso, quello del soldato era anche il più
retribuito; mentre i mercanti avevano il loro
tornaconto perché da poco il regno persiano con
Artaserse III
era riuscito a raggiungere nuovamente le sponde del
mediterraneo orientale, occupando i crocevia tra Asia
ed Europa, la Fenicia e l’Egitto.
Filippo ormai pronto per partire per le coste
dell’Asia Minore sicuro delle sue possibilità, lanciò
un ultimatum alla Persia in cui s’intimava di
abbandonare le città dell’Asia sotto il controllo dei
satrapi persiani.
Al
rifiuto di una proposta ritenuta ridicola, la
spedizione, pronta e armata sbarcò nell’Ellesponto,
con un contingente di 10.000 Macedoni, tra la fine
dell’inverno e l’inizio della primavera del 336 a.C.
al comando di Parmenione ed Attalo, quest’ultimo
genero di Filippo. Già, perché nel 337 Filippo aveva
preso in sposa Euridice (o Cleopatra, da non
confondere con la figlia di Filino stesso) nipote di
Attalo, uno dei nobili più potenti del regno. Filippo,
futuro padre del nascituro da Euridice, “guidato” dal
vino, di fronte a tutti, disconobbe Alessandro come
erede in un simposio; inoltre, la proclamazione di
Attalo stesso come generale nella spedizione d’Asia e
Olimpiade ripudiata, portarono il giovane Alessandro a
portare sé e la madre in esilio in Epiro ai confini
con l’Illiria, pronto eventualmente a rivoltare questa
popolazione contro il padre stesso.
Pochi mesi dopo avveniva una riconciliazione formale,
guidata dall’assenza di Attalo, ormai in Asia e dalla
funzione d’intercessore di Demarato di Corinto, voluta
soprattutto da Filippo stesso il quale non poteva
rischiare che i progetti asatici fallissero per
dissidi famigliari.
Intanto la testa di ponte in Asia guidata da
Parmenione ed Attalo veniva accolta a Cizico ed Efeso
perché il Regno Persiano in quel momento stava
passando un periodo di confusione ed anarchia.
Artaserse III Ochos si trovò a scontrarsi ben presto
con il potente eunuco di corte Bagoa, che aveva
incaricato di uccidere i potenziali eredi e
antagonisti del re. Ben presto il cortigiano prese il
sopravvento e la spirale di violenze culminò con lo
sterminio dell’intera linea dinastica partendo dal re
proseguendo con il figlio Arsete e di tutti i suoi
figli minori.
Non
potendo regnare, Bagoa consegnò lo scettro ad un
rappresentante minore del ramo achemenide Dario,
pronipote di Artaserse II e secondo cugino di
Artaserse III, che regnò all’ombra del potentissimo
eunuco.
Il
motivo per cui il corpo di spedizione macedone in Asia
sia stato lasciato libero di agire per quasi due anni
si deve al fatto che, oltre alle problematiche interne
e di successione di cui sopra, Dario preferì rivolgere
le sue attenzioni su un pericolo a ragione ben più
grave: la ribellione dell’Egitto dove un tale
Khababasha non solo lo aveva reso libero dal giogo
persiano ma si era fatto addirittura proclamare
faraone.
Dopotutto Dario stesso poteva contare su dei
validissimi satrapi tra cui spiccava il greco Memnone,
fratello di Mentore, che prendendo in moglie Barsine
figlia di Artabazo, si collocava totalmente dalla
parte persiana, rinnegando di fatto le sue origini. A
lui si deve il successo negli scontri contro
l’avanguardia Macedone.
Al
fianco del generale “greco” si disponevano, i satrapi
di Ionia, Cilicia e Frigia Ellespontica: Spitridate,
Arsame e Arsite. Parmenione ed Attalo padroni di
Cizico ed Efeso grazie anche ad una rivolta
filomacedone, furono sconfitti da Memnone nella piana
di Magnesia sul Meandro, disfatta che li costrinse a
ritirarsi nella Frigia Ellespontica. Efeso fu presa,
saccheggiata e punita dai Persiani per il suo
comportamento.
I
Macedoni prendevano Grinio, città molto piccola, ma
tenevano a stento Cizico, limitati tra Frigia e Troade
dall’avanzata di Memnone che sconfiggeva un corpo
nemico guidato da Calate che era costretto ad
indietreggiare ancora più a nord fino al Reteo,
promontorio della Troade. Il primo anno di campagna
terminava per i Macedoni in maniera piuttosto
deludente, con due città di cui una molto più piccola
di quella da cui erano partiti, ma soprattutto
all’orizzonte si affacciava l’ombra di Dario che nel
frattempo aveva ripreso l’Egitto ed affidato al
satrapo Sabace.
Intanto Pissodaro di Caria durante la fase
d’avanzamento macedone in Ionia e dunque prima della
sconfitta di Magnesia offrì in sposa sua figlia Ada ad
Arrideo, figlio di Filippo. Alessandro su consiglio
dei suoi “etairoi”, Tolemeo, Nearco, Arpalo ed
Erigio, inserì nella trattativa l'attore Tessalo
perché proponesse la sua candidatura agli occhi di
Pissodaro, invece del fratellastro demente Arrideo.
Filippo che ormai negava ogni favore nei confronti di
Alessandro per non inimicarselo in maniera aperta
mandò i “consiglieri” del figlio in esilio.
Intanto Euridice, che aveva partorito una figlia
femmina, Europa, partorì finalmente figlio maschio che
Filippo tanto attendeva e che gli avrebbe consentito
una successione differente da quella di Alessandro.
Tuttavia Filippo in una situazione che lo vedeva in
partenza per l’oriente, sentiva il peso della pesante
situazione a corte e intuito il pericolo che poteva
sopraggiungere da questa tensione decise di
riappacificarsi con il ramo epirota della famiglia in
modo che Olimpiade fosse “ammansuita” concedendo la
figlia sua e di Olimpiade, Cleopatra, in sposa ad
Alessandro d'Epiro.
Filippo sarebbe partito, raggiungendo Parmenione ed
Attalo in Asia, con un esercito molto più grande, dopo
aver assistito al matrimonio della figlia ed essersi
assicurato la stabilità familiare.
Il
matrimonio doveva essere una festa che comprendesse
tutta la Grecia e che al tempo stesso concentrasse un
numero altissimo di significati e simbologie e che
fosse l’inizio e al contempo la fine di un’epoca e
l’inizio di una nuova.
Ad
Ege (Vergina) seconda città per importanza ed antica
capitale, Filippo riunì l’aristocrazia macedone,
vennero istituiti giochi, agoni musicali, banchetti e
sacrifici e lo stesso evento si protrasse per giorni
prima di culminare nella cerimonia che alla fine
sarebbe risultata solo un’appendice: il matrimonio
stesso! Era appena iniziata la primavera del 336 a.C.
e Alessandro aveva 19 anni.
Il
rito venne celebrato, e nel giorno seguente grazie ad
un discorso del Re si sarebbero aperti gli agoni
teatrali, dove la folla pronta sugli spalti in un
teatro circondato dalle statue delle 12 divinità
olimpiche, che erano state portate in processione e
capeggiate dalla tredicesima di Filippo, questi si
fece avanti nel centro dell’orchestra vestito di
bianco e coronato d’alloro, puro e vincitore, divino
quindi, il quale ostentando sicurezza, contando sulla
sua immortalità acquisita e soprattutto deciso di non
far intendere di essere considerato un tiranno, poiché
solo loro in antico erano accompagnati da una scorta,
e quindi capace di non temere nulla, aveva
appositamente allontanato le sue guardie del corpo.
Accompagnato dai due Alessandri, figlio e genero,
mentre tutti inneggiavano al re dei Macedoni e di
tutta la Grecia, dalla folla in visibilio, un’ombra
fulminea uscì dalla calca degli spalti e senza indugio
lo trafisse nel petto, quindi si diresse verso un
cavallo pronto ad attenderlo per fuggire, mentre tra
l’ingresso e la scena del teatro rimaneva il corpo
agonizzante di Filippo trafitto da una spada celtica.
Immediatamente le guardie personali Leonnato, Perdicca
e Attalo di Stinfea inseguirono, raggiunsero
l’assassino secondo alcuni Pausania, una delle guardie
del corpo più fidate del re, che venne trucidato
distante dal teatro mentre secondo altri riportato nel
luogo del delitto,
interrogato e
precipitosamente
condannato a morte.
Su
chi sia stato il mandante dell’assassinio di Filippo
vi sono tre ipotesi, oltre ad un quantitativo di
sospetti esorbitanti. Siccome la storia è data dai
fatti ci dobbiamo poggiare sulle tre ipotesi che
vennero dedotte da coloro che ci hanno tramandato
dell’omicidio del re.
Secondo Aristotele, vicino all’ambiente macedone
perché precettore di Alessandro, Pausania si vendicò
di Filippo il quale non gli aveva dato giustizia dopo
che in un convivio, era stato oggetto di un abuso
sessuale da parte della cerchia di Attalo, zio
dell’ultima moglie di Filippo. Offeso nell’onore senza
ascolto e giusta riparazione da parte del Re, si
sarebbe vendicato ben otto anni dopo.
Questa versione, chiaramente volta a denigrare tutto e
tutti, in particolar modo Attalo, Euridice e Filippo
avrebbe poi giustificato l’uccisione dei primi due e
sconfessato l’ultimo.
La
seconda versione, dettata da Giustino (IX, 7.10), vede
Pausania, nobile originario delle terre epirote
annesse alla Macedonia e imparentato con Olimpiade.
L’omicidio sarebbe quindi stato dettato dalla regina
deposta in un complotto spietato prima che Euridice
divenisse madre per la seconda volta con il rischio
che partorisse un figlio maschio, pretendente del
trono.
Olimpiade di ritorno a Ege, collocò sulla testa del
cadavere del regicida una corona d’oro, dedicò un
tumulo e sacrifici in suo onore e offrì l’arma del
delitto ad Apollo. Lo stesso Alessandro venne
sospettato del complotto anche se nessuno fornì prove
reali di una tale ipotesi.
La
terza ipotesi, chiaramente “filoalessandriana” tendeva
a scagionare tutti e a riversare la colpa
esclusivamente sui Persiani, i quali avrebbero
arrestato l’invasione macedone, e che in seguito
sarebbe stata usata dallo stesso principe come causa e
come propaganda per spingere le truppe in Asia (Arr.,
An. II 15.5).
Nell’immediato, fu la famiglia rivale di quella reale,
quella dei Lincestidi ad essere messa sotto accusa. La
sua potenza, pari alla famiglia Argeade era
interpretata come pericolosa per la stabilità interna:
tutti i membri vennero accusati di voler rovesciare il
potere argeade insediando sul trono Aminta, nipote di
Perdicca II. Dei tre fratelli si salvò solamente
l’omonimo del nuovo re.
Il
figlio di Antipatro, anch’egli di nome Alessandro,
ebbe infatti la prontezza di salutare immediatamente
il giovane principe con l’acclamazione: Alexandros
Basileus Makedonon Chaire! (Salute a te Alessandro
Re dei Macedoni!).
Alessandro III, ovviamente sicuro delle sue
possibilità e potenzialità, non si tirò indietro dal
compito assunto. Nell’immediatezza e nella confusione
degli eventi organizzò il suo futuro potere con due
atti immediati: da una parte strinse intorno a se un
seguito di principi minori con i quali si era
cresciuto: Tolemeo, Nearco, Arpalo ed Erigio, banditi
da Filippo, per essersi introdotti e aver spinto
Alessandro a sposare Ada figlia di Pissodaro, vennero
immediatametne richiamati a corte; dall’altra
procedette ad una serie di epurazioni famigliari che
lo portassero ad avere un certo controllo della
situazione famigliare e “generazionale”.
Secondo alcuni (Giustino) gran parte dei potenziali
eredi, dei nemici di corte e delle persone scomode
furono trucidati, in realtà sappiamo bene che non fu
così poiché risparmiò i figli delle altre mogli del
padre: Arrideo (forse perché considerato folle) figlio
di Filinna come anche i primogeniti maschi di Cinane e
Tessalonice.
Chiaramente, al contrario di coloro che vogliono
vedere in Alessando un simbolo negativo, un
sanguinario ed un impulsivo non hanno chiari i fatti.
All’uccisione di alcuni personaggi “scomodi” della sua
cerchia faceva riscontro una prudenza di base nei
riguardi dell’intera aristocrazia macedone. Alessandro
era figlio del padre e della madre e, la cosa che più
colpiva è che aveva appreso da ambedue il modo di
essere: al fattore caratteriale di “intuizione”,
decisionalità e concretezza Alessandro fuse gli
insegnamenti del suo maestro e guida, Aristotele,
ottenendo un'istruzione militare e politica ancora
superiore.
Esempio felice è rappresentato dalla gestione di
Attalo, che si trovava ancora in Asia con una parte
dell’esercito, del quale si sarebbe sbarazzato ben
volentieri. Conoscendo bene e riconoscendo il ruolo
dell’aristocrazia nelle istituzioni del suo paese,
sapeva di dover agire con circospezione, per non
condurre gli ufficiali più anziani ad un contrasto
aperto: mandò quindi uno dei suoi Etairoi
(Compagni) più
fidati, Ecateo con un gruppo armato in Asia con la
scusa di un rinforzo ma con l’obbiettivo di tenere
sotto controllo Attalo, non ritenendo pericolose sua
figlia Euridice e la nipote Europa.
Come
detto il potere regale, in Macedonia era ancora
imbevuto di concetti arcaici, simili a quelli micenei
in cui il basileus non deteneva il potere
decisionale assoluto che spesso era rimandato, per
conferma, all’assemblea dei generali riuniti, quella
che deteneva era l’autorità carismatica che ogni volta
veniva confermata ma che se avesse agito contro il
consiglio in scontro aperto lo avrebbe condotto, per
un motivo o per un altro, alla caduta.
All’immediato rientro di Parmenione e di fronte ad
un’assemblea dei generali tra cui spiccava Antipatro
insieme al primo anziano generale, pronunciò un
discorso in cui affermava di voler proseguire la linea
del padre nelle intenzioni di voler quindi portare
guerra all’Impero Persiano, automaticamente affermando
il proprio potere e la sua successione.
I
“contrari”, coloro che non erano in disaccordo o che
non riconoscevano la sua autorità potevano scegliere
di lasciare la Macedonia, come accadde per Aminta,
figlio di Antioco che trovò rifugio presso la corte di
Dario.
Olimpiade venne nominata regina madre, la quale
avrebbe detenuto il potere e retto il paese in caso di
lontananza del figlio. Questo sarà il primo caso nelle
dinastie occidentali, una peculiarità che vedrà
l’alternanza di vere e proprie regine durante il
periodo ellenistico e che culminerà con la più famosa
di esse: Cleopatra in Egitto.
Filippo, venne seppellito in una sontuosa tomba per
lui appositamente costruita e preparata, che fu poi
ritrovata presso Vergina dagli archeologi greci nel
1977, moriva lasciando dietro di se uno strascico di
dubbi, questioni, e di se… ma un’eredita notevole al
figlio: oro, la Grecia intera ed un esercito
formidabile; questo risulterà essere la chiave di
volta del potere di Alessandro.
Il
nuovo Re partiva da una base militare ottenuta
dall’istruzione, dalla preparazione ma soprattutto
dall’esperienza paterna. Oltre alla loxè phalangs
tipicamente macedone, il figlio di Filippo, poteva
contare su una serie notevole di mezzi e uomini,
numericamente non eccessivi, ma qualitativamente ben
preparati ed addestrati e soprattutto diversificati:
gli arcieri di Creta, il battaglione sacro tebano, gli
opliti peloponnesiaci (esclusa Sparta), la cavalleria
tessala, i lanciatori di giavellotto e frombolieri
dalle zone montuose e dalle isole: ogni reggimento
inoltre già specifico nella tipologia si differenziava
anche nello stile di combattimento.
Inoltre per fronteggiare ogni evenienza, il giovane
Alessandro si era munito e preparato a dovere: per gli
assedi aveva a disposizione macchine che alcuni dicono
che progetto egli stesso sotto la guida di Aristotele:
arieti corazzati, torri semoventi dotate di scale
interne e ponti mobili, e catapulte. Per mare sarà
assistito dalle flotte di Corinto e della pur sempre
temibilissima Atene sia nel combattimento, sia nella
logistica sia e soprattutto nell’assistenza e nei
rifornimenti.
Alessandro durante le sue battaglie userà sempre uno
schema, probabilmente perché porterà sempre con se il
ricordo dell’impresa di Cheronea: la fanteria pesante
veniva posta al centro dello schieramento in
formazione lineare comunque sempre pronta a volgere in
formazione a cuneo. Sulle due ali poneva la
cavalleria, il comando era affidato all’anziano
Parmenione a sinistra mentre a lui andava quella
ritenuta la più complessa: la destra. L’intero asse,
seppur lineare era obliquo, il fulcro era
rappresentato dalla falange centrale che oscillava in
base alle esigenze dello scontro.
Il
Re, dopo aver posto la linea obliqua rispetto allo
schieramento frontale con la sua cavalleria più
esposta verso il nemico guidava la carca contro l’ala
sinistra nemica, per primo e di fronte a tutti. Anche
se si può affermare che la grandezza dell’Uomo fu
quella di utilizzare le risorse a sua disposizione in
base alle disponibilità effettive e alle necessità di
ogni singolo momento o situazione con estrema lucidità
e sempre in maniera impeccabile.
Quello che stava per accadere intorno al regno
macedone, da Nord a Sud è sintetizzato
nell’atteggiamento di uno dei più acerrimi nemici di
Filippo.
Demostene, saputa la notizia dell’assassinio del Re,
si diede a manifestazioni di gioia, dopo essersi
coronato la testa di alloro si preparava a festeggiare
con sacrifici pubblici, manifestando il suo disprezzo
per il figlio. L’esplosione demostenica non è
nient’altro che un ologramma della situazione
interrelazionale politica della Macedonia stessa.
Questo era il momento per tutte le popolazioni
sottomesse di ribellarsi a quello ‘stupido ragazzo’. (Diod.
XVII 3; Arr., Anabasi I 1, 1-3; Just. XI 2, 5; 3, 1-5;
Aeschin., Contra Ctesiph. 160; Marsia FgrHist 135, F
3; Ps.-Dem., Sui patti con Alessandro; IG II/III2
329). |