N. 5 - Ottobre 2005
ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA
La figura del padre –
Parte I
di
Antonio Montesanti
La
Macedonia è una regione situata a nord della penisola
greca o Grecia continentale. I suoi confini sono molto
netti per quanto riguarda le regioni a Sud e a Ovest:
questi sono in comune rispettivamente con Tessaglia ed
Epiro. A Nord e ad Est sono più sfumati e soprattutto
i primi addirittura poco chiari e confusi.
A
Sud il confine con la Tessaglia è scandito dalla
catena dell’Olimpo che si ricollega a quella del Pindo
a sud-est e che la separa dall’Epiro. Ad Est la
congiunzione con la Tracia o la sua subregione, il
Chersoneso Tracio, è difficilmente rintracciabile con
precisione, ma nella sfocatezza di solito lo
s’individua o nel fiume Strimone o nella catena dei
Rodopi, che lascia una sfumatura verso il mare. Per
quanto riguarda il Nord, l’oscurità è quasi totale,
poiché anche in epoca storica, oltre a non avere dati
sufficienti per individuarne i limiti, questi stessi
sono stati spesso oltrepassati e reimpostati da ambo
le parti, sia nella regione Illirica rivolta verso
l’Adriatico, sia verso la Tracia vera e propria,
rendendo la fascia di confine denominata Peonia,
spesso come un’appendice o dell’una o dell’altra. Solo
dopo le conquiste di Filippo II, questa subregione
macedone diverrà parte integrante della Macedonia
greca, trovando come confini definitivi i Monti
Haemus.
Oltre la “marca” della Paeonia a Nord, l’antica
macedonia era composta, a seconda delle etnie da altre
regioni e queste in microterritori: Derriopo,
Pelagonia, Aestrea, Sintica, Mygdonia, Aemathia,
Lyncestide, Orestide, Elimiotide e Chalcidica con le
tre lingue di terra che si protendono in mare e che
costituiscono delle realtà assestanti: Acia, Sithonia
e Pallene. La regione si presenta pianeggiante e ricca
di fiumi lungo la fascia costiera, con diversi laghi
palustri costieri e numerosi golfi che hanno lo scopo
di suddividere le subregioni; la parte interna invece
è ricca di catene montuose, che a stella s’incontrano
o si dipartono dall’area di confine, e di passaggio
tra la Macedonia e la Peonia.
Le
città più importanti, Aege (Edessa), Pella e Therma (Tessalonica),
si successero cronologicamente come capitali del
Regno. Le altre sono relativamente importanti, se si
esclude la loro posizione di caposaldi o la fama
relegata ad eventi importanti come nei casi di Pydna,
Methone, Potidaea, Mende, Torone, Olyntos, Assoro che
si stagliano lungo la fascia costiera e vengono
ricordate solo in rapporto agli eventi greci.
Considerata una regione povera, la distribuzione delle
risorse la vede, come anche per la parte
oro-idrografica, divisa in tre grandi aree: quella
montuosa, a Nord, da cui veniva ricavato dell’ottimo
legname per costruzione e carpenteria navale,
sfruttata da Atene come area di sfruttamento per le
navi della Lega Delio-Attica. La fascia perimarina e
pianeggiante dedicata alle coltivazioni ed in grado di
fornire buone quantità di grano e quella intermedia,
la più estesa, dedicata all’allevamento del bestiame.
Solo in seguito, i Macedoni riusciranno a sfruttare le
abbondanti miniere d’oro e d’argento già individuate
da Milziade nella prima metà del V sec. a.C., al
confine con la Tracia.
La
posizione relegata ad una sorta di stato cuscinetto,
la continua minaccia delle popolazioni trace ed
illiriche, la lontananza dai centri storici nevralgici
dell’Ellade, il disinteressarsi dei fatti che
riguardavano la Grecia delle Poleis, il
dialetto greco con forti “intromissioni” barbariche e
le alleanze non sempre indirizzate verso il blocco
continentale, peloponnesiaco e micrasiatico, portava i
Greci a non considerare i Macedoni al pari degli Ioni,
dei Dori o degli Eoli, benché la casa dinastica
maceone, l’Argeade, si considerasse, vantandosi, di
discendere da Eracle al pari dei Dori, origini comuni
a quelle delle altre stirpi greche.
Solamente nel periodo delle guerre Persiane si denota
un certo affacciarsi della Regione all’interno degli
affari internazionali, forse più per necessità che per
interesse. Il primo re ad avvicinarsi precipuamente
alla cultura greca continentale era stato Alessandro I
(498-454 a.C.), trisavolo in linea diretta di
Alessandro III il Grande, che dapprincipio non per
scelta aveva concordato il passaggio dei Persiani
attraverso il paese, ma subito dopo la vittoria di
Platea, si schierava con i Greci, promuovendo
l'ingresso dell’idioma greco puro e della cultura
greca tanto da ottenere il soprannome di Filelleno.
L’avvicinamento all’Ellade non volle dire accettazione
dei macedoni nelle questioni greche: il livello
organizzavo e politico erano in effetti ancora
piuttosto arretrati: sussisteva ancora una forma di
potere basata sulla monarchia regale su base dinastica
a forte carattere militare, che veniva riconfermata
con una sorta di elezione formale dalle varie tribù al
pari di ogni decisione; il re veniva affiancato al
governo da un consiglio di anziani ma che più spesso
erano amici, collaboratori, alleati, generali.
In
caso di decisioni importanti si convocava
un’assemblea, al pari di un consiglio di stato,
formata dagli etairoi (eteri), la cui
traduzione è quella di compagni. Questo tipo di
ordinamento è definito: unus inter pares che
ricorda ancora la descrizione del potere fatta nei
poemi omerici e quindi sostanzialmente arcaica, ma che
ritroveremo nei grandi poemi cavallereschi
anglosassoni e nelle figure dei conti palatini (comites
palatini, compagni di palazzo) del Sacro Romano
Impero.
Per poter capire la storia di Alessandro Magno
necessita improntare una ricerca, anche se
superficiale, del perché della sua figura. È
necessario individuare nei genitori, Filippo (II) ed
Olimpiade, ma soprattutto nel primo, nonché nella sua
progenie dinastica, la chiave del suo essere.
Filippo da giovane, per tre anni (362-359 a.C.),
durante l’apice dell’ascesa politica e militare di
Tebe fu ostaggio reale dove apprese quello per cui la
città pindarica emergeva in quel periodo: ottenne
un’istruzione ed un’educazione militare ed ebbe la
fortuna di avere come precettori diretti i generali
Pelopida ed Epaminonda, vincitori di Leuttra e
Mantinea (371 e 362 a.C.). Il futuro re osserva,
apprende e assimila il concetto della falange tebana e
soprattutto il suo ordine obliquo, ma sopratutto
impara l'importanza del coordinamento tra cavalleria e
fanteria. Studia bene la battaglia di Leuttra e rimane
sconvolto a Mantinea quando per la seconda volta nella
loro storia gli Spartani vengono sconfitti in campo
aperto.
Impara anche come funzionava la politica greca. Di
ritorno in patria, viene avallato il suo potere
dinastico a soli 25 anni ancora da compiere,
ereditando un regno diviso storicamente tra politai
delle città, coltivatori dei bassopiani e nobili
guerrieri sulle colline. Questa situazione viene
rimodellata dal nuovo re impregnato di grecità, attua
in pochi anni la trasformazione radicale dello stato
macedone come uno stato ellenico a tutti gli effetti.
Filippo, in base alla sua esperienza, in pochi anni
trasformò il questo piccolo regno in uno Stato
efficiente e militarmente capace. Inoltre, usando in
maniera avveduta le ricchezze naturali del paese, in
particolare grazie alla sfruttamento sistematico e non
più casuale delle miniere d’oro del Pangeo (Monte
Bribed) che fu abilissimo a mettere in produzione
nel giro di pochi mesi; in questo modo creò un
esercito permanente e perfettamente efficiente.
L’Esercito
Filippo unifica e mantiene sotto il suo comando
l’intera Macedonia, basando il suo potere, come ogni
monarchia imperialista, sull’appoggio militare di un
forte esercito, organizzato, armato, ben addestrato ma
soprattutto permanente, fornendola di un esercito
capace, basato sui cittadini macedoni di ogni rango.
Dopotutto le poleis greche ad esclusione di
Sparta e Tebe si stavano indebolendo notevolmente in
seguito alla moda importata dall’oriente, dopo gli
scontri contro i Persiani nel dopoguerra
peloponnesiaco, del mercenariato. Ormai alla metà del
IV sec. a.C. la maggior parte degli eserciti erano
formati da soldati mercenari, che combattevano a
pagamento, sia perché i cittadini preferivano
dedicarsi alle attività economiche sia perché questo
tipo di milizia risultava decisamente più
professionale.
Al
contrario i soldati macedoni servivano lo stato
annualmente, quando non combattevano, erano accampati
a spese dell’erario ricevendo un addestramento
complesso e durissimo per tre mesi. L’esercito
macedone era così di gran lunga il meglio addestrato
del mondo e ancor di più il meglio equipaggiato.
Il
portentoso meccanismo ideato da Filippo, quella che
verrà chiamata “falange macedone” e l’affiancamento ad
essa di una potentissima cavalleria, fu la vera
“creatura” di Filippo, costituita da un quadrato di
256 uomini (16 per lato), esclusivamente macedoni. In
pratica si trattava di opliti leggeri, la cui forza si
basava sulla sarissa, una lancia più corta e meno
flessibile della picca della fanteria pesante greca.
Queste 256 sarisse dovevano formare un ginepraio di
lance estremamente rigide che doveva costituire una
specie di muro d’impatto contro qualsiasi nemico. La
divergenza che però si denota tra la tattica greca e
quella macedone e che mentre i primi combattevano
ancora nella rigidità delle loro tre linee di
battaglia tradizionali, basate sulla fanteria,
cavalleria e lanciatori, disposti a seconda delle
necessità, l’unità macedone, derivata dal battaglione
sacro tebano, era un'unità estremamente flessibile.
La
sua forza era la capacità di assumere una grande
varietà di formazioni manovrabili in pochi secondi. Il
quadrato era la formazione di base che poteva
allungarsi velocemente trasformandosi in una linea o
in un cuneo, a seconda dell’apposito comando ricevuto
dalle trombe.
Grazie agli insegnamenti ricevuti a Tebe, il re rivide
i concetti di falange, battaglione e cavalleria e
soprattutto l'importanza di coordinare la disposizione
e l’uso delle prime due con la terza. L’innovazione
consisteva nell’abbinare al battaglione della falange,
un uso combinato della cavalleria, dopo aver ritoccato
anch’essa. Infatti era difficile per i Greci, fino ad
allora, concepire una cavalleria pesante, ben armata
ed addestrata, con protezioni che potessero metterla
al riparo dai lanciatori e che allo stesso tempo
potessero sfondare le linee nemiche che s’infrangevano
sul muro della falange.
Per queste innovazioni, nel IV sec. a.C., l’esercito
macedone era il migliore e nessun’altro poteva essere
considerato neanche alla pari.
La prima fase di espansione macedone
La
situazione politica dell’epoca vedeva un quadro
estremamente chiaro: al Nord vi erano una serie di
stati per lo più barbari, con confini e situazioni
poco definite, come i territori traci ed illiri e lo
stato, anch’esso ellenizzato d’Epiro; poi vi era la
Macedonia, un forte e ricco Stato ormai unitario che
mirava ad espandersi; a sud, nella penisola greca, le
numerose città-stato, sempre più indebolite al loro
interno dalle lotte tra le fazioni.
Filippo, forse per indole, forse per potenzialità o
per necessità iniziò una evidente politica di
espansione con tutti i metodi e mezzi a sua
disposizione, sia con matrimoni di Stato sia con
guerre e distruzioni cruente.
Per prima cosa il neomonarca rinsaldò i rapporti delle
famiglie e delle tribù con il potere centrale,
assicurandosi contemporaneamente la difesa dei
territori settentrionali, prendendo a pochi giorni
dalla sua investitura come moglie Fila,
un’aristocratica dell'Elimiotide, che gli diede un
figlio semisconosciuto. Dopo un anno, nel 358, sposa
Audata, figlia del Re degli Illiri che gli diede,
insieme all’alleanza con quella popolazione, una
bambina di nome Cinane.
All’alleanza con lo stato “gemello” d’Epiro si deve il
matrimonio con Olimpiade figlia di Neottolemo, Re
dell'Epiro.
Il
matrimonio con Olimpiade assume toni velatametne
romantici e misterici. Probabilmente alle questioni
politiche si affiancarono quelle sentimentali, o
viceversa.
L’unione tra i due fu una perfetta commistione ed
amalgama di elementi che presi singolarmente mancano
di un opposto per completarsi ma se fusi rendono il
miglior risultato ottenibile.
Il
re macedone rappresenta, anche se non lo è, il tipico
iniziatore di una dinastia. In linea diretta la sua
“casata” affonda le sue origini in Eracle al pari dei
Dori della madrepatria. Filippo è capace di grandi
risultati e di qualità spregiudicate per raggiungere
il fine: qualunque obbiettivo egli abbia in mente e in
qualsiasi modo lo ottiene. Per questo conosce bene i
suoi limiti ma anche gli obbiettivi che si prepone,
per questo non si limita alle azioni legali e corrette
per giungervi e per ottenere lo scopo di una questione
considera, calcola, definisce ogni elemento e prepara
i suoi piani con accuratezza e quando giunge il
momento sferra il suo attacco, pronto, deciso e spesso
finale.
Quindi ad una natura riflessiva e calcolatrice se ne
affianca un’altra duplice di pura istintività, basata
su un grande impeto virile. Per ultimo ha un
grandissimo dono, di pochi Greci, la capacità di
guardare oltre i confini e le diatribe interne,
considerando l’oikoumene in tutta la sua
estensione. Filippo rappresenta la parte razionale,
sensibile e conoscitiva deduttiva.
Olimpiade, in quanto figlia del monarca d’Epiro è in
linea diretta discendente di Achille, il cui padre
portava il nome del figlio dell’eroe iliadico. Il suo
fascino gli è dato dal mistero di cui lei si fregia.
Fanatica del dio Dioniso, a lui devota e convinta
delle dottrine orfico-dionisiache, spesso si lasciava
guidare dall’enfasi iniziatica della sua divinità.
Convinta sostenitrice degli effetti incontrollati
dell’estasi bacchica, spesso si lasciava coinvolgere
nelle feste orgiastiche che portavano alla
consapevolezza di una nuova vita e conducevano tramite
la memoria, alla beatitudine e all’immortalità.
Già nella regione del Monte Olimpo, la Pieria, in
seguito alla partecipazione di qualcuna di queste
feste, aveva abbandonato il suo vero nome, quello di
Polissena, proprio per ricercare il nesso diretto con
le divinità olimpiche. Totalmente incurante della
realtà tangibile, vive in un mondo privo di
connessioni razionali e raramente vi si lascia
trascinare, ricercando quella consapevolezza
inconscia.
Guidata più da valori, questioni e fini ultraterreni
si lascia condurre all’interno di riti sacri, definiti
misterici, che annientano la percezione sensoriale.
Tutto sommato conosce molto bene i meccanismi che
animano il reale e li utilizza a suo piacimento in
maniera diretta, quando ne abbisogna. In Alessandro
sarà la metà irrazionale oscura, sensitiva e
conoscitiva induttiva.
Il
primo incontro tra i due era avvenuto presso il
santuario di Samotracia, dove si erano rivolti per
essere iniziati ai misteri. Dalla loro unione nacquero
due figli: Alessandro e Cleopatra. La notte in cui
venne concepito il primogenito, Olimpiade sognò che un
lampo la colpiva al seno.
Quel tipo di attrazione che spesso congiunge i due
poli opposti, Filippo e Olimpiade, li avrebbe presto,
proprio per la loro stessa natura, portati ad
allontanarsi. Se da una parte, accordandoci alle
fonti, ed in particolar modo a Putarco, bisogna
considerare alcuni atteggiamenti femminili riprovevoli
per un marito, come l’accompagnarsi alla presenza di
ceste mistiche nelle quali erano conservati i serpenti
che avevano lo scopo di ridurre la razionalità ai
minimi termini e soprattutto la partecipazione
puntuale alle orge bacchiche in qualità di
sacerdotessa; dall’altra dobbiamo pensare ad una sorta
di allontanamento coniugale da parte del marito sempre
proteso alle macchinazioni per il raggiungimento degli
obbiettivi reali e materiali, separandolo di fatto dai
rapporti coniugali o di condivisione matrimoniale.
Per questo motivo Filippo usava unirsi, quasi per
vendetta, a donne di umili origini, come Filinna,
danzatrice di Larissa, con la quale concepì un figlio,
Arrideo, con gravi ritardi mentali, e Nicesipoli di
Ferete, da cui nacque, Tessalonice.
Quello di Filippo sembrava un piano, con delle
premesse di questo tipo, con introiti così elevati e
soprattutto con esercito improntato ad un imperialismo
reale: la Macedonia iniziava con il monarca una lenta
ma inesorabile politica di acquisizione dei territori
confinanti ed in particolare, una sorta di annessione
delle popolazioni considerate barbare. E non solo. I
matrimoni politici risultarono molto utili soprattutto
nel Nord, dove le varie collusioni sanguignee
portarono il semibarbaro ad una condizione di Greco
“vero”, difensore della grecità contro le tribù
balcaniche. che dopo la vittoria sulle popolazioni
barbariche del Nord reclamava un posto tra i Greci,
sentendosi, i Macedoni, Elleni a tutti gli effetti. Il
piano di Filippo era chiaro: assicurare il confine
settentrionale per ottenere il favore dei Greci con le
buone o con le cattive.
Per questo nel 358 a.C., il giovanissimo macedone
affrontava ai confini d’Illiria, Peonia, Epiro e
Macedonia le varie tribù barbare illiriche e peonie
che non era riuscito ad ammansire con trattati,
matrimoni e promesse. A Bitola, pur perdendo circa
7.000 uomini Filippo riportava una vittoria decisiva
che rendeva di fatto le popolazioni del nord
inoffensive.
Quindi si rivolse verso i Traci, verso la penisola
calcidica, con l’obbiettivo di raggiungere l’area
degli stretti. I Traci vengono pagati e di fatto tutta
la fascia marina fino alle porte di Bisanzio diviene
territorio macedone, davanti a Perinto fa costruire
una fortezza per proteggere le conquiste, ottenendo di
fatto il suo scopo: prendere Anfipoli e controllare le
miniere d’oro del Pangeo. Con questa azione, entra di
fatto in contrasto con quelli che erano gli interessi
di Atene in quell’area.
Quando nel 356 a.C. Filippo si autoproclamava re di
fronte a tutta la grecità, questo in base alla sua
posizione, alle conquiste e al ruolo di difensore
settentrionale dell’Ellade tutta, richiese un maggior
peso all’interno delle questioni più propriamente
greche.
L’impossibilità dei Greci di concedere pari diritti (e
quindi un potere di voto maggiore nell’unico consiglio
politico-religioso: l’Anfizionia Delfica) a dei
semibarbari e la crescente consapevolezza dello stato
del Nord di essere uno Stato forte ed unitario. A
questo si contrapponeva la schiera delle diverse
città-stato che si stavano ormai logorando con lotte
intestine tra fazioni che tendevano ad abbassare il
livello delle più forti e ad innalzare quello delle
più deboli, livellando di fatto una situazione
logorante. La politica delle poleis con l’uso
di truppe mercenarie, che garantivano una difesa
sempre pronta, si opponeva la popolazione militante
macedone, capace di sviluppare quel sentimento
patriottico che anima la guerra e che consente di
combattere motivatamente.
In
questa situazione, le città greche non apparivano in
grado di difendere efficacemente la propria
indipendenza.
Per questo motivo Filippo s’inserì immediatamente
nell’ennesima disputa per il controllo del santuario
delfico. La Terza Guerra Sacra (356-346) riguardava la
Focide, regione relativamente vicina alla Macedonia e
di fondamentale importanza perché qui si trovava il
santuario di Apollo Delfico e qui, nell’ Anfizionia si
discutevano e si prendevano le decisioni che
riguardavano tutti i popoli della Grecia.
Il
Macedone scese a sud nel 353 a.C., non prima di aver
occupato l’ultima alleata di Atene lungo la costa
tracia Metone, attraversa e sottomette di fatto la
Tessaglia, si trova di fronte un altro grande
stratega, Onomarco tebano alla guida dei Focesi, che
lo batte duramente.
Mantenendo ciò che aveva detto dopo lo scontro,
–
Non sono scappato, mi sto allontanando in modo da
potermi scagliare come un montone infuriato! –
(Polyaen., Strat. II 38,2),
il
macedone si trovò di fronte ancora una volta lo
stratega tebano ai campi di Croco (Pegase) dove
riporta una vittoria decisiva, quindi tentò di
forzare, senza successo il passo delle Termopili
tenuto da Ateniesi e Spartani (Diod. XVI 23-60; Paus.,
X 2; 15; Just., VIII 1-2).
Quindi si diresse di nuovo a nord dove prese e per
dimostrazione distrusse Olinto in maniera perenne nel
349 a.C. Visto l’atteggiamento aggressivo di Filippo
verso tutte le città calcidiche e tracie alleate di
Atene, quest’ultima si trova a dover stipulare con il
sovrano la “Pace di Filocare”. Quindi dopo essersi
alleato con le maggiori città peloponnesiache nemiche
di Sparta e in qualità di ‘governatore’ della
Tessaglia si presentò a Delfi nello stesso anno
reclamando il suo posto e il voto all’interno dell’Anfizionia,
che gli spettava di diritto, di guerra, ma pur sempre
di diritto.
Questo tipo di politica, la serie di acquisizioni e l’autoproclamazione
di “Greco” e quindi una sorta di difensore comune per
tutta l’Ellade, diventandone comunque il leader
indiscusso accrebbe di molto le potenzialità del
regno, contrapponendosi d’altra parte al non voler
riconoscere la Macedonia come uno stato greco ed
evidentemente egemone in quel momento, portò Filippo a
richiedere ai Greci una sorta di appoggio contro i
Persiani, i barbari d’oriente, proponendosi come capo
di un'alleanza costituita a tale scopo. Filippo era
convinto che una proposta tale avrebbe provocato un
certo entusiasmo nelle città stato elleniche: una
guerra di tutti i Greci contro la Persia. Gli Elleni
rimanevano indecisi tra la sottomissione ad un sovrano
semibarbaro e il suo potenziale da usare contro i
nemici comuni.
Le
città dibatterono a lungo sull’eventualità di fondersi
in una sorta di nazione unica, alcuni oratori, come
gli ateniesi Isòcrate ed Èschine appoggiarono il
progetto, ritenendo che la vittoria della Macedonia
avrebbe permesso anche la conservazione della cultura
greca. Il sovrano macedone sfruttò le abilità
acquisite e premiando gli alleati, soffocando gli
oppositori, si presentava spesso come arbitro
disinteressato nelle dispute tra le città greche. Ma a
prevalere fu alla fine la corrente guidata da
Demòstene. In una serie di discorsi, le "Filippiche",
ancora oggi modello di retorica, contro il re
macedone: sostenne che l’obbiettivo di Filippo non era
la difesa della civiltà greca, non la guerra comune
contro i Persiani, ma l’affermazione del proprio
potere personale.
Cinque anni dopo, la vita privata e quella pubblica
del dinasta macedone, s’intersecarono a tal punto da
portare la penisola ellenica ormai in tensione contro
di lui, verso il baratro dello scontro armato.
Accadeva un fatto familiare che avrebbe provocato
gravissime ripercussioni anche nella vita politica di
Filippo e del mondo greco intero: i contrasti con la
moglie Olimpiade divennero talmente insostenibili che
oltre a vedere la moglie ripudiata, portarono al
protettorato della Macedonia sull’Epiro che dopo la
morte di Nottolemo, era governato da Aribba suo
fratello (Just. VIII 6; Dem., Olint. I 13).
La
deposizione del re epirota e l’imposizione del
fratello di Olimpiade, portarono Atene ad accogliere
il re spodestato in modo da contrastare, anche da
lontano lo strapotere macedone (IG II/III2
226). Inoltre, l’idea di essere guidati da
semibarbari, perdere la democrazia a favore di una
monarchia che gli avrebbe tolto l’indipendenza e la
libertà, condusse Atene e Tebe a schierarsi in
un’alleanza contro Filippo.
Già nel 342 a.C. la Tracia intera era stata inglobata
divenendo di fatto Macedonia il cui confine orientale
giungeva quasi al mar di Marmara. Quest’atteggiamento
di aperta sfida, spinse lo stratega ateniese dell’area
tracio-calcidica a saccheggiare i territori macedoni
per rappresaglia, questo portò Filippo a reclamare.
Demostene spinse gli Ateniesi con due orazioni
esemplari (Chersonesika e Terza Filippica) non solo a
lasciare lo stratega ateniese al suo posto ma a
mandargli rinforzi e a promuovere una lega panellenica
contro la Macedonia che a sua volta si scagliava
contro due città alleate della capitale attica,
Perinto e Bisanzio.
Non riuscendo, nonostante l’assedio, ad occupare le
due città, si scontrò apertamente con Atene, quindi,
il padre di Alessandro, coadiuvato dal giovanissimo
figlio, si rivolse verso gli Sciti alla foce del
Danubio, e solo dopo averli sottomessi, scese di nuovo
in Focide, ripercorrendo gli stessi passi della
campagna del 355 a.C. Questa volta riuscì a sfondare
alle Termopili, costringendo gli alleati, ossia le
maggiori città di Grecia alleate contro di lui, ad
affrontarlo a Cheronea dove, grazie al valore del
figlio, appena sedicenne, le sconfisse. Ad Alessandro
il padre lasciò l’ala più complessa, quella sinistra,
solo per il fatto che vi si trovava il battaglione
sacro tebano che fu respinto, massacrato e messo in
fuga dal principe (Diod. XVI 76-77, 3; 85-86; Dem.,
Chers., Philip. III, Steph.).
Filippo si presentò a Tebe chiedendo la messa a morte
dei nemici della macedonia e una guarnigione nella
Cadmea, l’acropoli tebana, quindi mentre Atene si
preparava al peggio, il re gli impose “solamente” di
sciogliere la Seconda Lega Navale Delio-Attica, di
abbandonare tutti i possedimenti sulle coste tracie e
lungo l’area degli stretti. Alessandro stesso scortò i
corpi dei defunti ad Atene, ottenendo la cittadinanza.
L’anno seguente, nel 337 a.C., Filippo convocava
un’assemblea a Corinto, qui riuniva di fatto tutti gli
Stati Greci in un’unica entità (con l'eccezione di
Sparta che continuava a resistere imperturbata).
Proclamava la koine eirene (pace comune), con
la quale si terminava ogni conflitto, rivendicazione o
disputa; veniva creata di fatto un’unica nazione
ellenica (prima volta nella storia) con un sinedrio o
consiglio generale permanente (Just., IX 5; Diod. XVI
89).
L’unione di tutti i Greci continentali prendeva il
nome di Lega di Corinto a capo della quale vi era in
qualità di strategos autokrator, lo stesso
Filippo, il quale ribadiva come unico obbiettivo
quello di scagliarsi con tutte le forze riunite contro
i Persiani: il Greco che prestava servizio militar
presso gli stranieri era considerato traditore (IG II/III2
236). Quest’atto, la fondazione della Lega
Corinzia, unico nella storia greca, segna la fine
delle città sovrane della Grecia. |