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> Storia Antica

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N. 5 - Ottobre 2005

ALESSANDRO MAGNO. ALESSANDRO III DI MACEDONIA

La figura del padre – Parte I

di Antonio Montesanti

 

 

 

La Macedonia è una regione situata a nord della penisola greca o Grecia continentale. I suoi confini sono molto netti per quanto riguarda le regioni a Sud e a Ovest: questi sono in comune rispettivamente con Tessaglia ed Epiro. A Nord e ad Est sono più sfumati e soprattutto i primi addirittura poco chiari e confusi.

 

A Sud il confine con la Tessaglia è scandito dalla catena dell’Olimpo che si ricollega a quella del Pindo a sud-est e che la separa dall’Epiro. Ad Est la congiunzione con la Tracia o la sua subregione, il Chersoneso Tracio, è difficilmente rintracciabile con precisione, ma nella sfocatezza di solito lo s’individua o nel fiume Strimone o nella catena dei Rodopi, che lascia una sfumatura verso il mare. Per quanto riguarda il Nord, l’oscurità è quasi totale, poiché anche in epoca storica, oltre a non avere dati sufficienti per individuarne i limiti, questi stessi sono stati spesso oltrepassati e reimpostati da ambo le parti, sia nella regione Illirica rivolta verso l’Adriatico, sia verso la Tracia vera e propria, rendendo la fascia di confine denominata Peonia, spesso come un’appendice o dell’una o dell’altra. Solo dopo le conquiste di Filippo II, questa subregione macedone diverrà parte integrante della Macedonia greca, trovando come confini definitivi i Monti Haemus.

 

Oltre la “marca” della Paeonia a Nord, l’antica macedonia era composta, a seconda delle etnie da altre regioni e queste in microterritori: Derriopo, Pelagonia, Aestrea, Sintica, Mygdonia, Aemathia, Lyncestide, Orestide, Elimiotide e Chalcidica con le tre lingue di terra che si protendono in mare e che costituiscono delle realtà assestanti: Acia, Sithonia e Pallene. La regione si presenta pianeggiante e ricca di fiumi lungo la fascia costiera, con diversi laghi palustri costieri e numerosi golfi che hanno lo scopo di suddividere le subregioni; la parte interna invece è ricca di catene montuose, che a stella s’incontrano o si dipartono dall’area di confine, e di passaggio tra la Macedonia e la Peonia.

 

Le città più importanti, Aege (Edessa), Pella e Therma (Tessalonica), si successero cronologicamente come capitali del Regno. Le altre sono relativamente importanti, se si esclude la loro posizione di caposaldi o la fama relegata ad eventi importanti come nei casi di Pydna, Methone, Potidaea, Mende, Torone, Olyntos, Assoro che si stagliano lungo la fascia costiera e vengono ricordate solo in rapporto agli eventi greci.

 

Considerata una regione povera, la distribuzione delle risorse la vede, come anche per la parte oro-idrografica, divisa in tre grandi aree: quella montuosa, a Nord, da cui veniva ricavato dell’ottimo legname per costruzione e carpenteria navale, sfruttata da Atene come area di sfruttamento per le navi della Lega Delio-Attica. La fascia perimarina e pianeggiante dedicata alle coltivazioni ed in grado di fornire buone quantità di grano e quella intermedia, la più estesa, dedicata all’allevamento del bestiame. Solo in seguito, i Macedoni riusciranno a sfruttare le abbondanti miniere d’oro e d’argento già individuate da Milziade nella prima metà del V sec. a.C., al confine con la Tracia.

 

La posizione relegata ad una sorta di stato cuscinetto, la continua minaccia delle popolazioni trace ed illiriche, la lontananza dai centri storici nevralgici dell’Ellade, il disinteressarsi dei fatti che riguardavano la Grecia delle Poleis, il dialetto greco con forti “intromissioni” barbariche e le alleanze non sempre indirizzate verso il blocco continentale, peloponnesiaco e micrasiatico, portava i Greci a non considerare i Macedoni al pari degli Ioni, dei Dori o degli Eoli, benché la casa dinastica maceone, l’Argeade, si considerasse, vantandosi, di discendere da Eracle al pari dei Dori, origini comuni a quelle delle altre stirpi greche.

 

Solamente nel periodo delle guerre Persiane si denota un certo affacciarsi della Regione all’interno degli affari internazionali, forse più per necessità che per interesse. Il primo re ad avvicinarsi precipuamente alla cultura greca continentale era stato Alessandro I (498-454 a.C.), trisavolo in linea diretta di Alessandro III il Grande, che dapprincipio non per scelta aveva concordato il passaggio dei Persiani attraverso il paese, ma subito dopo la vittoria di Platea, si schierava con i Greci, promuovendo l'ingresso dell’idioma greco puro e della cultura greca tanto da ottenere il soprannome di Filelleno.

 

L’avvicinamento all’Ellade non volle dire accettazione dei macedoni nelle questioni greche: il livello organizzavo e politico erano in effetti ancora piuttosto arretrati: sussisteva ancora una forma di potere basata sulla monarchia regale su base dinastica a forte carattere militare, che veniva riconfermata con una sorta di elezione formale dalle varie tribù al pari di ogni decisione; il re veniva affiancato al governo da un consiglio di anziani ma che più spesso erano amici, collaboratori, alleati, generali.

 

In caso di decisioni importanti si convocava un’assemblea, al pari di un consiglio di stato, formata dagli etairoi (eteri), la cui traduzione è quella di compagni. Questo tipo di ordinamento è definito: unus inter pares che ricorda ancora la descrizione del potere fatta nei poemi omerici e quindi sostanzialmente arcaica, ma che ritroveremo nei grandi poemi cavallereschi anglosassoni e nelle figure dei conti palatini (comites palatini, compagni di palazzo) del Sacro Romano Impero.

 

Per poter capire la storia di Alessandro Magno necessita improntare una ricerca, anche se superficiale, del perché della sua figura. È necessario individuare nei genitori, Filippo (II) ed Olimpiade, ma soprattutto nel primo, nonché nella sua progenie dinastica, la chiave del suo essere.

 

Filippo da giovane, per tre anni (362-359 a.C.), durante l’apice dell’ascesa politica e militare di Tebe fu ostaggio reale dove apprese quello per cui la città pindarica emergeva in quel periodo: ottenne un’istruzione ed un’educazione militare ed ebbe la fortuna di avere come precettori diretti i generali Pelopida ed Epaminonda, vincitori di Leuttra e Mantinea (371 e 362 a.C.). Il futuro re osserva, apprende e assimila il concetto della falange tebana e soprattutto il suo ordine obliquo, ma sopratutto impara l'importanza del coordinamento tra cavalleria e fanteria. Studia bene la battaglia di Leuttra e rimane sconvolto a Mantinea quando per la seconda volta nella loro storia gli Spartani vengono sconfitti in campo aperto.

 

Impara anche come funzionava la politica greca. Di ritorno in patria, viene avallato il suo potere dinastico a soli 25 anni ancora da compiere, ereditando un regno diviso storicamente tra politai delle città, coltivatori dei bassopiani e nobili guerrieri sulle colline. Questa situazione viene rimodellata dal nuovo re impregnato di grecità, attua in pochi anni la trasformazione radicale dello stato macedone come uno stato ellenico a tutti gli effetti.

 

Filippo, in base alla sua esperienza, in pochi anni trasformò il questo piccolo regno in uno Stato efficiente e militarmente capace. Inoltre, usando in maniera avveduta le ricchezze naturali del paese, in particolare grazie alla sfruttamento sistematico e non più casuale delle miniere d’oro del Pangeo (Monte Bribed) che fu abilissimo a mettere in produzione nel giro di pochi mesi; in questo modo creò un esercito permanente e perfettamente efficiente.

 

L’Esercito

 

Filippo unifica e mantiene sotto il suo comando l’intera Macedonia, basando il suo potere, come ogni monarchia imperialista, sull’appoggio militare di un forte esercito, organizzato, armato, ben addestrato ma soprattutto permanente, fornendola di un esercito capace, basato sui cittadini macedoni di ogni rango.

 

Dopotutto le poleis greche ad esclusione di Sparta e Tebe si stavano indebolendo notevolmente in seguito alla moda importata dall’oriente, dopo gli scontri contro i Persiani nel dopoguerra peloponnesiaco, del mercenariato. Ormai alla metà del IV sec. a.C. la maggior parte degli eserciti erano formati da soldati mercenari, che combattevano a pagamento, sia perché i cittadini preferivano dedicarsi alle attività economiche sia perché questo tipo di milizia risultava decisamente più professionale.

 

Al contrario i soldati macedoni servivano lo stato annualmente, quando non combattevano, erano accampati a spese dell’erario ricevendo un addestramento complesso e durissimo per tre mesi. L’esercito macedone era così di gran lunga il meglio addestrato del mondo e ancor di più il meglio equipaggiato.

 

Il portentoso meccanismo ideato da Filippo, quella che verrà chiamata “falange macedone” e l’affiancamento ad essa di una potentissima cavalleria, fu la vera “creatura” di Filippo, costituita da un quadrato di 256 uomini (16 per lato), esclusivamente macedoni. In pratica si trattava di opliti leggeri, la cui forza si basava sulla sarissa, una lancia più corta e meno flessibile della picca della fanteria pesante greca.

 

Queste 256 sarisse dovevano formare un ginepraio di lance estremamente rigide che doveva costituire una specie di muro d’impatto contro qualsiasi nemico. La divergenza che però si denota tra la tattica greca e quella macedone e che mentre i primi combattevano ancora nella rigidità delle loro tre linee di battaglia tradizionali, basate sulla fanteria, cavalleria e lanciatori, disposti a seconda delle necessità, l’unità macedone, derivata dal battaglione sacro tebano, era un'unità estremamente flessibile.

 

La sua forza era la capacità di assumere una grande varietà di formazioni manovrabili in pochi secondi. Il quadrato era la formazione di base che poteva allungarsi velocemente trasformandosi in una linea o in un cuneo, a seconda dell’apposito comando ricevuto dalle trombe.

 

Grazie agli insegnamenti ricevuti a Tebe, il re rivide i concetti di falange, battaglione e cavalleria e soprattutto l'importanza di coordinare la disposizione e l’uso delle prime due con la terza. L’innovazione consisteva nell’abbinare al battaglione della falange, un uso combinato della cavalleria, dopo aver ritoccato anch’essa. Infatti era difficile per i Greci, fino ad allora, concepire una cavalleria pesante, ben armata ed addestrata, con protezioni che potessero metterla al riparo dai lanciatori e che allo stesso tempo potessero sfondare le linee nemiche che s’infrangevano sul muro della falange.

 

Per queste innovazioni, nel IV sec. a.C., l’esercito macedone era il migliore e nessun’altro poteva essere considerato neanche alla pari.

 

La prima fase di espansione macedone

 

La situazione politica dell’epoca vedeva un quadro estremamente chiaro: al Nord vi erano una serie di stati per lo più barbari, con confini e situazioni poco definite, come i territori traci ed illiri e lo stato, anch’esso ellenizzato d’Epiro; poi vi era la Macedonia, un forte e ricco Stato ormai unitario che mirava ad espandersi; a sud, nella penisola greca, le numerose città-stato, sempre più indebolite al loro interno dalle lotte tra le fazioni.

 

Filippo, forse per indole, forse per potenzialità o per necessità iniziò una evidente politica di espansione con tutti i metodi e mezzi a sua disposizione, sia con matrimoni di Stato sia con guerre e distruzioni cruente.

 

Per prima cosa il neomonarca rinsaldò i rapporti delle famiglie e delle tribù con il potere centrale, assicurandosi contemporaneamente la difesa dei territori settentrionali, prendendo a pochi giorni dalla sua investitura come moglie Fila, un’aristocratica dell'Elimiotide, che gli diede un figlio semisconosciuto. Dopo un anno, nel 358, sposa Audata, figlia del Re degli Illiri che gli diede, insieme all’alleanza con quella popolazione, una bambina di nome Cinane.

 

All’alleanza con lo stato “gemello” d’Epiro si deve il matrimonio con Olimpiade figlia di Neottolemo, Re dell'Epiro. 

Il matrimonio con Olimpiade assume toni velatametne romantici e misterici. Probabilmente alle questioni politiche si affiancarono quelle sentimentali, o viceversa.

L’unione tra i due fu una perfetta commistione ed amalgama di elementi che presi singolarmente mancano di un opposto per completarsi ma se fusi rendono il miglior risultato ottenibile.

 

Il re macedone rappresenta, anche se non lo è, il tipico iniziatore di una dinastia. In linea diretta la sua “casata” affonda le sue origini in Eracle al pari dei Dori della madrepatria. Filippo è capace di grandi risultati e di qualità spregiudicate per raggiungere il fine: qualunque obbiettivo egli abbia in mente e in qualsiasi modo lo ottiene. Per questo conosce bene i suoi limiti ma anche gli obbiettivi che si prepone, per questo non si limita alle azioni legali e corrette per giungervi e per ottenere lo scopo di una questione considera, calcola, definisce ogni elemento e prepara i suoi piani con accuratezza e quando giunge il momento sferra il suo attacco, pronto, deciso e spesso finale.

 

Quindi ad una natura riflessiva e calcolatrice se ne affianca un’altra duplice di pura istintività, basata su un grande impeto virile. Per ultimo ha un grandissimo dono, di pochi Greci, la capacità di guardare oltre i confini e le diatribe interne, considerando l’oikoumene in tutta la sua estensione. Filippo rappresenta la parte razionale, sensibile e conoscitiva deduttiva.

 

Olimpiade, in quanto figlia del monarca d’Epiro è in linea diretta discendente di Achille, il cui padre portava il nome del figlio dell’eroe iliadico. Il suo fascino gli è dato dal mistero di cui lei si fregia. Fanatica del dio Dioniso, a lui devota e convinta delle dottrine orfico-dionisiache, spesso si lasciava guidare dall’enfasi iniziatica della sua divinità. Convinta sostenitrice degli effetti incontrollati dell’estasi bacchica, spesso si lasciava coinvolgere nelle feste orgiastiche che portavano alla consapevolezza di una nuova vita e conducevano tramite la memoria, alla beatitudine e all’immortalità.

 

Già nella regione del Monte Olimpo, la Pieria, in seguito alla partecipazione di qualcuna di queste feste, aveva abbandonato il suo vero nome, quello di Polissena, proprio per ricercare il nesso diretto con le divinità olimpiche. Totalmente incurante della realtà tangibile, vive in un mondo privo di connessioni razionali e raramente vi si lascia trascinare, ricercando quella consapevolezza inconscia.

 

Guidata più da valori, questioni e fini ultraterreni si lascia condurre all’interno di riti sacri, definiti misterici, che annientano la percezione sensoriale. Tutto sommato conosce molto bene i meccanismi che animano il reale e li utilizza a suo piacimento in maniera diretta, quando ne abbisogna. In Alessandro sarà la metà irrazionale oscura, sensitiva e conoscitiva induttiva.

 

Il primo incontro tra i due era avvenuto presso il santuario di Samotracia, dove si erano rivolti per essere iniziati ai misteri. Dalla loro unione nacquero due figli: Alessandro e Cleopatra. La notte in cui venne concepito il primogenito, Olimpiade sognò che un lampo la colpiva al seno.

 

Quel tipo di attrazione che spesso congiunge i due poli opposti, Filippo e Olimpiade, li avrebbe presto, proprio per la loro stessa natura, portati ad allontanarsi. Se da una parte, accordandoci alle fonti, ed in particolar modo a Putarco, bisogna considerare alcuni atteggiamenti femminili riprovevoli per un marito, come l’accompagnarsi alla presenza di ceste mistiche nelle quali erano conservati i serpenti che avevano lo scopo di ridurre la razionalità ai minimi termini e soprattutto la partecipazione puntuale alle orge bacchiche in qualità di sacerdotessa; dall’altra dobbiamo pensare ad una sorta di allontanamento coniugale da parte del marito sempre proteso alle macchinazioni per il raggiungimento degli obbiettivi reali e materiali, separandolo di fatto dai rapporti coniugali o di condivisione matrimoniale.

 

Per questo motivo Filippo usava unirsi, quasi per vendetta, a donne di umili origini, come Filinna, danzatrice di Larissa, con la quale concepì un figlio, Arrideo, con gravi ritardi mentali, e Nicesipoli di Ferete, da cui nacque, Tessalonice.

 

Quello di Filippo sembrava un piano, con delle premesse di questo tipo, con introiti così elevati e soprattutto con esercito improntato ad un imperialismo reale: la Macedonia iniziava con il monarca una lenta ma inesorabile politica di acquisizione dei territori confinanti ed in particolare, una sorta di annessione delle popolazioni considerate barbare. E non solo. I matrimoni politici risultarono molto utili soprattutto nel Nord, dove le varie collusioni sanguignee portarono il semibarbaro ad una condizione di Greco “vero”, difensore della grecità contro le tribù balcaniche. che dopo la vittoria sulle popolazioni barbariche del Nord reclamava un posto tra i Greci, sentendosi, i Macedoni, Elleni a tutti gli effetti. Il piano di Filippo era chiaro: assicurare il confine settentrionale per ottenere il favore dei Greci con le buone o con le cattive.

 

Per questo nel 358 a.C., il giovanissimo macedone affrontava ai confini d’Illiria, Peonia, Epiro e Macedonia le varie tribù barbare illiriche e peonie che non era riuscito ad ammansire con trattati, matrimoni e promesse. A Bitola, pur perdendo circa 7.000 uomini Filippo riportava una vittoria decisiva che rendeva di fatto le popolazioni del nord inoffensive.

Quindi si rivolse verso i Traci, verso la penisola calcidica, con l’obbiettivo di raggiungere l’area degli stretti. I Traci vengono pagati e di fatto tutta la fascia marina fino alle porte di Bisanzio diviene territorio macedone, davanti a Perinto fa costruire una fortezza per proteggere le conquiste, ottenendo di fatto il suo scopo: prendere Anfipoli e controllare le miniere d’oro del Pangeo. Con questa azione, entra di fatto in contrasto con quelli che erano gli interessi di Atene in quell’area.

 

Quando nel 356 a.C. Filippo si autoproclamava re di fronte a tutta la grecità, questo in base alla sua posizione, alle conquiste e al ruolo di difensore settentrionale dell’Ellade tutta, richiese un maggior peso all’interno delle questioni più propriamente greche.

 

L’impossibilità dei Greci di concedere pari diritti (e quindi un potere di voto maggiore nell’unico consiglio politico-religioso: l’Anfizionia Delfica) a dei semibarbari e la crescente consapevolezza dello stato del Nord di essere uno Stato forte ed unitario. A questo si contrapponeva la schiera delle diverse città-stato che si stavano ormai logorando con lotte intestine tra fazioni che tendevano ad abbassare il livello delle più forti e ad innalzare quello delle più deboli, livellando di fatto una situazione logorante. La politica delle poleis con l’uso di truppe mercenarie, che garantivano una difesa sempre pronta, si opponeva la popolazione militante macedone, capace di sviluppare quel sentimento patriottico che anima la guerra e che consente di combattere motivatamente.

 

In questa situazione, le città greche non apparivano in grado di difendere efficacemente la propria indipendenza.

Per questo motivo Filippo s’inserì immediatamente nell’ennesima disputa per il controllo del santuario delfico. La Terza Guerra Sacra (356-346) riguardava la Focide, regione relativamente vicina alla Macedonia e di fondamentale importanza perché qui si trovava il santuario di Apollo Delfico e qui, nell’ Anfizionia si discutevano e si prendevano le decisioni che riguardavano tutti i popoli della Grecia.

 

Il Macedone scese a sud nel 353 a.C., non prima di aver occupato l’ultima alleata di Atene lungo la costa tracia Metone, attraversa e sottomette di fatto la Tessaglia, si trova di fronte un altro grande stratega, Onomarco tebano alla guida dei Focesi, che lo batte duramente.

Mantenendo ciò che aveva detto dopo lo scontro,

 

– Non sono scappato, mi sto allontanando in modo da potermi scagliare come un montone infuriato! – (Polyaen., Strat. II 38,2),

 

il macedone si trovò di fronte ancora una volta lo stratega tebano ai campi di Croco (Pegase) dove riporta una vittoria decisiva, quindi tentò di forzare, senza successo il passo delle Termopili tenuto da Ateniesi e Spartani (Diod. XVI 23-60; Paus., X 2; 15; Just., VIII 1-2).

 

Quindi si diresse di nuovo a nord dove prese e per dimostrazione distrusse Olinto in maniera perenne nel 349 a.C. Visto l’atteggiamento aggressivo di Filippo verso tutte le città calcidiche e tracie alleate di Atene, quest’ultima si trova a dover stipulare con il sovrano la “Pace di Filocare”. Quindi dopo essersi alleato con le maggiori città peloponnesiache nemiche di Sparta e in qualità di ‘governatore’ della Tessaglia si presentò a Delfi nello stesso anno reclamando il suo posto e il voto all’interno dell’Anfizionia, che gli spettava di diritto, di guerra, ma pur sempre di diritto.

 

Questo tipo di politica, la serie di acquisizioni e l’autoproclamazione di “Greco” e quindi una sorta di difensore comune per tutta l’Ellade, diventandone comunque il leader indiscusso accrebbe di molto le potenzialità del regno, contrapponendosi d’altra parte al non voler riconoscere la Macedonia come uno stato greco ed evidentemente egemone in quel momento, portò Filippo a richiedere ai Greci una sorta di appoggio contro i Persiani, i barbari d’oriente, proponendosi come capo di un'alleanza costituita a tale scopo. Filippo era convinto che una proposta tale avrebbe provocato un certo entusiasmo nelle città stato elleniche: una guerra di tutti i Greci contro la Persia. Gli Elleni rimanevano indecisi tra la sottomissione ad un sovrano semibarbaro e il suo potenziale da usare contro i nemici comuni.

 

Le città dibatterono a lungo sull’eventualità di fondersi in una sorta di nazione unica, alcuni oratori, come gli ateniesi Isòcrate ed Èschine appoggiarono il progetto, ritenendo che la vittoria della Macedonia avrebbe permesso anche la conservazione della cultura greca. Il sovrano macedone sfruttò le abilità acquisite e premiando gli alleati, soffocando gli oppositori, si presentava spesso come arbitro disinteressato nelle dispute tra le città greche. Ma a prevalere fu alla fine la corrente guidata da Demòstene. In una serie di discorsi, le "Filippiche", ancora oggi modello di retorica, contro il re macedone: sostenne che l’obbiettivo di Filippo non era la difesa della civiltà greca, non la guerra comune contro i Persiani, ma l’affermazione del proprio potere personale.

 

Cinque anni dopo, la vita privata e quella pubblica del dinasta macedone, s’intersecarono a tal punto da portare la penisola ellenica ormai in tensione contro di lui, verso il baratro dello scontro armato. Accadeva un fatto familiare che avrebbe provocato gravissime ripercussioni anche nella vita politica di Filippo e del mondo greco intero: i contrasti con la moglie Olimpiade divennero talmente insostenibili che oltre a vedere la moglie ripudiata, portarono al protettorato della Macedonia sull’Epiro che dopo la morte di Nottolemo, era governato da Aribba suo fratello (Just. VIII 6; Dem., Olint. I 13).

 

La deposizione del re epirota e l’imposizione del fratello di Olimpiade, portarono Atene ad accogliere il re spodestato in modo da contrastare, anche da lontano lo strapotere macedone (IG II/III2 226). Inoltre, l’idea di essere guidati da semibarbari, perdere la democrazia a favore di una monarchia che gli avrebbe tolto l’indipendenza e la libertà, condusse Atene e Tebe a schierarsi in un’alleanza contro Filippo.

 

Già nel 342 a.C. la Tracia intera era stata inglobata divenendo di fatto Macedonia il cui confine orientale giungeva quasi al mar di Marmara. Quest’atteggiamento di aperta sfida, spinse lo stratega ateniese dell’area tracio-calcidica a saccheggiare i territori macedoni per rappresaglia, questo portò Filippo a reclamare. Demostene spinse gli Ateniesi con due orazioni esemplari (Chersonesika e Terza Filippica) non solo a lasciare lo stratega ateniese al suo posto ma a mandargli rinforzi e a promuovere una lega panellenica contro la Macedonia che a sua volta si scagliava contro due città alleate della capitale attica, Perinto e Bisanzio.

 

Non riuscendo, nonostante l’assedio, ad occupare le due città, si scontrò apertamente con Atene, quindi, il padre di Alessandro, coadiuvato dal giovanissimo figlio, si rivolse verso gli Sciti alla foce del Danubio, e solo dopo averli sottomessi, scese di nuovo in Focide, ripercorrendo gli stessi passi della campagna del 355 a.C. Questa volta riuscì a sfondare alle Termopili, costringendo gli alleati, ossia le maggiori città di Grecia alleate contro di lui, ad affrontarlo a Cheronea dove, grazie al valore del figlio, appena sedicenne, le sconfisse. Ad Alessandro il padre lasciò l’ala più complessa, quella sinistra, solo per il fatto che vi si trovava il battaglione sacro tebano che fu respinto, massacrato e messo in fuga dal principe (Diod. XVI 76-77, 3; 85-86; Dem., Chers., Philip. III, Steph.).

 

Filippo si presentò a Tebe chiedendo la messa a morte dei nemici della macedonia e una guarnigione nella Cadmea, l’acropoli tebana, quindi mentre Atene si preparava al peggio, il re gli impose “solamente” di sciogliere la Seconda Lega Navale Delio-Attica, di abbandonare tutti i possedimenti sulle coste tracie e lungo l’area degli stretti. Alessandro stesso scortò i corpi dei defunti ad Atene, ottenendo la cittadinanza.

 

L’anno seguente, nel 337 a.C., Filippo convocava un’assemblea a Corinto, qui riuniva di fatto tutti gli Stati Greci in un’unica entità (con l'eccezione di Sparta che continuava a resistere imperturbata). Proclamava la koine eirene (pace comune), con la quale si terminava ogni conflitto, rivendicazione o disputa; veniva creata di fatto un’unica nazione ellenica (prima volta nella storia) con un sinedrio o consiglio generale permanente (Just., IX 5; Diod. XVI 89).

 

L’unione di tutti i Greci continentali prendeva il nome di Lega di Corinto a capo della quale vi era in qualità di strategos autokrator, lo stesso Filippo, il quale ribadiva come unico obbiettivo quello di scagliarsi con tutte le forze riunite contro i Persiani: il Greco che prestava servizio militar presso gli stranieri era considerato traditore (IG II/III2 236).  Quest’atto, la fondazione della Lega Corinzia, unico nella storia greca, segna la fine delle città sovrane della Grecia.



 

 

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