contemporanea
SULL'ARMISTIZIO DELL'8 SETTEMBRE 1943
UNA STORIA ITALIANA / Parte III
di Stelvio Garasi
Le trattative di resa
Il Generale Ambrosio, decide di inviare
a Lisbona il Generale Giuseppe
Castellano per prendere contatti con la
diplomazia delle Nazioni Unite
approfittando della partenza di una
delegazione italiana che parte per la
capitale portoghese il 12 agosto. Il
generale è privo di credenziali per
evitare che i documenti compromettenti
possono cadere in mano nemica, ma anche
per avere la possibilità di sconfessare
l’azione qualora ciò fosse ritenuto
utile. I primi cauti passi per giungere
a un armistizio con le potenze
anglo-americane sono compiuti sin dalla
fine di luglio. Ma il governo italiano
preferisce compierli lungo una strada
tortuosa e senza sbocchi, non prende in
considerazione la via più breve che è
quella di proclamare, come conseguenza
logica dopo il crollo del regime, la
fine dello stato di guerra che aveva
dichiarato e incitare la popolazione per
fronteggiare l’inevitabile reazione
tedesca. Questo percorso è l’unica
alternativa che possa eludere il
principio della resa incondizionata,
proclamato nella conferenza tenutasi a
Casablanca dal 14-26 gennaio 1943.
Nel consesso fu pianificata la strategia
europea degli Alleati che stabilisce,
dopo aver concluso vittoriosamente la
campagna del Nordafrica, l’attacco
all’Italia, considerata un obbiettivo
facile, definita da Churchil “il ventre
molle dell’Asse”, sia per la vicinanza
alle basi aereonavali alleate in
Tunisia, sia per il suo stato di crisi
politico-militare interna. All’incontro
dei due statisti Churchil e Roosevelt
partecipa anche il generale De Gaulle
come rappresentante del Governo francese
in esilio e si gettano le basi per
l’Operazione Husky per l’invasione della
Sicilia. Il senso di resa incondizionata
consiste nella garanzia che si vuole
offrire ai popoli oppressi, che mai gli
alleati avrebbero concessori trattare
con i governi oppressori.
A Casablanca, viene anche presa in
considerazione l’ipotesi che un paese
nemico, affrancandosi dal regime
fascista con decisione propria senza
trattative preliminari per cessare le
ostilità contro le Nazioni Unite e
impegnandosi con le armi contro i
tedeschi, avrebbe ridimensionato la
validità dell’accordo, sino a ridurlo
alla meschinità di umiliare il vinto. Il
governo italiano è stretto in una morsa
dal duplice timore: teme la reazione
tedesca, non meno dell’intervento
popolare sotto la spinta dei comitati
politici che si sono costituiti dopo il
25 luglio. Crede di poter sventare
entrambi i pericoli con il soccorso
degli angloamericani. Decide la via
delle trattative non tanto per alleviare
le dure condizioni di una resa
incondizionata quanto per sollecitare
gli Alleati ad accorrere in Italia con
forze sufficienti a scacciare i tedeschi
almeno dalle regioni meridionali e
centrali. Il 1° agosto viene inviato a
Lisbona il marchese Blanco Lanza d’Aieta,
consigliere all’ambasciata italiana
presso la Santa Sede; l’ambasciatore
britannico presso il Vaticano, Sir D’Arcys
Osborne, gli ha rilasciato una lettera
per il suo collega accreditato a
Lisbona, Sir Ronald Campbel.
Durante l’incontro con l’emissario
inglese D’Aieta non accennato
minimamente al termine di pace, ma si è
limitato a invocare gli Alleati per
salvare l’Italia dai tedeschi. Ma il
rappresentante delle Nazioni Unite
ribadisce la formula di resa
incondizionata. Altro tentativo da parte
del console Alberto Berio a Tangeri
ottiene lo stesso risultato. Constatato
l’esito negativo dei due sondaggi si
decide per la partenza del generale
Castellano, che riceve dal suo superiore
diretto, il generale Ambrosio, l’ordine
della missione presso gli
angloamericani, con le seguenti
direttive: esporre la situazione
militare italiana, sentire quali sono le
loro intenzioni, ed evidenziare che
l’Italia non può sganciarsi dall’alleato
germanico senza l’aiuto delle Nazioni
Unite; consigliando uno sbarco a nord di
Roma e un’altro in Adriatico, i
tedeschi, sentendosi minacciati
sarebbero costretti a ripiegare
dall’Italia centrale a difesa dei passi
alpini.
Il Generale Castellano, partito da Roma
in treno il 12 agosto, giunge a Lisbona
il 16 agosto, il giorno seguente
incontra l’ambasciatore Campbel. Il 18
agosto arrivano a Lisbona gli emissari
angloamericani che incontrano in serata
Castellano, al quale presentano il testo
compilato dal generale Eisenhower,
Castellano ribadisce che è lì solo per
discutere le modalità del passaggio
dell’Italia al campo alleato e del
sostegno necessario per scacciare le
forze tedesche dal territorio nazionale.
Il generale Bedel Smith, assicura
l’assistenza necessaria al popolo
italiano e all’esercito, ribadisce che
una eventuale guerra contro la Germania
è una questione di competenza dei capi
di governo delle Nazioni Unite. Consegna
al generale italiano il testo del
documento discusso nell’incontro di
Quebec, avvenuto tra il 17-24 agosto,
nel quale si apre la strada della
cobelligeranza. Il 24 agosto in un
contesto di sospetti e di divisioni
all’interno delle Forze Armate, il
generale Roatta e il generale Carboni
(comandante del S.I.M. e del corpo
motocorazzato posto in difesa di Roma),
decidono di inviare il Generale Zanussi
a Lisbona per equilibrare e controllare
il lavoro di Castellano, con l’effetto
di rendere ancor più sospettosi, in
quanto vedono nella nuova delegazione
un’ulteriore complicazione in una
situazione delicatissima.
Il generale Zanussi viene trattenuto
dagli angloamericani e l’ambasciatore
Campbel, su istruzioni del foreign
office, gli consegna copia del testo
dell’armistizio lungo approvato dai
governi statunitense e britannico,
l’intento è di sostituire il testo
dell’armistizio breve con quello lungo.
Il comando di Algeri, ha timore che le
pesanti clausole in esso contenute
possono essere motivo da parte di
Badoglio per non firmare la resa, chiede
di essere autorizzato a far firmare le
clausole militari con l’impegno di
consegnare al governo italiano il testo
aggiuntivo dopo la firma
dell’armistizio.
Castellano torna a Roma e riferisce a
Badoglio l’intransigenza degli
angloamericani sulla questione della
resa incondizionata e il rigetto delle
proposte del governo italiano. Badoglio
decide di non sconfessare l’iniziativa
di Castellano, conferendogli il mandato
di presentare le controproposte. I
colloqui continuano a Cassibile
(Siracusa) dove è presente anche il
generale Zanussi, che non rivela a
Castellano di essere a conoscenza del
dell’armistizio lungo. Castellano è
tornato in Sicilia il 2 settembre per
siglare l’armistizio, ma al momento
della firma si scopre che non ha la
delega che gli assegni i pieni poteri,
gli emissari italiani vengono relegati
in una tenda da campo in attesa che
arrivi da Roma il mandato.
L’autorizzazione arriva nel pomeriggio
del giorno 3 e un’ora dopo viene siglato
l’armistizio da Castellano e Bedell
Smith a nome rispettivamente di Badoglio
e del generale Eisenhower. Subito dopo
la firma a Castellano viene consegnato
il testo dell’armistizio lungo,
consegnato precedentemente a Lisbona al
generale Zanussi e poi ritirato dagli
angloamericani.
Il Generale Castellano si trattiene a
Cassibile per perfezionare i piani di
collaborazione tra l’esercito italiano e
le forze alleate. Nel frattempo ad
Algeri si sta pianificando l’Operazione
Giant nome in codice del’aviosbarco di
una divisione di paracadutisti nella
periferia a nord di Roma. Durante le
trattative con gli emissari
angloamericani Castellano non nasconde
lo stato di debolezza delle Forze Armate
italiane. Il Governo Badoglio il 5
settembre riceve i documenti con le
clausole dell’armistizio e nei vertici
militari si diffonde la preoccupazione
per il precipitare degli eventi.
Lo stato di ansia e l’incertezza regnano
sovrane. Vengono diffuse disposizioni
generiche con documenti siglati.
«Promemoria n.1, Memoria 45 OP e
Promemoria 45 OP». Il generale Ambrosio
spedisce il documento «Promemoria n. 1»
ai comandi delle tre Forze armate che
contiene le disposizioni da impartire
alle unità dislocate in Italia, Francia
e Croazia. Il «Promemoria n. 2» contiene
un primo accenno all’armistizio
imminente. Per l’esercito, costituisce
un complemento della «Memoria 44 OP» già
diffusa.
Il 7 settembre arriva a Roma la missione
americana composta dal generale Maxwel
Taylor chiede immediatamente un incontro
con il maresciallo Badoglio, che lo
riceve nella sua abitazione privata. Il
capo del governo viene svegliato poiché
dorme tranquillamente e accoglie il
generale americano in vestaglia,
(l’anziano maresciallo anche la notte di
Caporetto era a letto che dormiva
tranquillamente). Badoglio tenta di
procrastinare l’annuncio
dell’armistizio, il generale Taylor
prova a far comprendere le gravi
conseguenze della decisione di tirarsi
indietro all’ultimo minuto,
costringendolo a inviare una richiesta
di annullare l’operazione al Generale
Eisenhower, in queste circostanze agli
americani non resta che annullare
l’Operazione Giant poche ore prima del
suo avvio.
L’8 settembre e la fuga del re
Il giorno 8 settembre alle ore 12 il re
riceve l’ambasciatore tedesco Rudolf
Rahnn il quale, durante il colloquio gli
assicura che «L’Italia non capitolerà
mai, condurrà la lotta sino alla fine a
fianco della Germania». Una volta
congedato l’ambasciatore chiama un
dignitario di corte di sua fiducia a cui
affida dei beni della corona: arazzi,
quadri, argenteria e altri beni di
valore per metterli in salvo che vengono
trasferiti in Svizzera su un treno
speciale composto da 40 vagoni merci.
Per le 18,15 è convocato il Consiglio
della Corona, a cui partecipano
il re, Badoglio, il ministro della Real
Casa Acquarone, il Ministro degli Esteri
Guarriglia, e i Ministri della Guerra
delle tre armi, Ambrosio, Roatta,
Carboni, Castellano e il maggiore
Marchesi che in un primo momento non
prende parte alla seduta.
Il consiglio si svolge in un clima di
ansie e di incertezze, alle 18,30 il
Maggiore Marchesi entra nella sala dove
si svolge la riunione e comunica che da
Radio Algeri il Generale Einsenhower ha
comunicato che le Forze Armate italiane
si sono arrese incondizionatamente. Il
generale Carboni propone di sconfessare
l’armistizio, il Maggiore Marchesi
sostiene con forza di procedere con
quanto è previsto dalla firma, sostenuto
anche dal Generale Castellano.
Il re scioglie la seduta, poco dopo
Badoglio si reca negli studi
dell’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni
Radiofoniche) in via Asiago dove incide
su un disco l’annuncio al Paese che
l’Italia ha concluso un armistizio con
la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e che
pertanto ogni atto di ostilità verso gli
anglo-americani deve cessare in ogni
luogo. Dal canto loro, le Forze Armate
Italiane «reagiranno a eventuali
attacchi da qualsiasi altra
provenienza». Il riferimento agli ex
alleati tedeschi è trasparente, ma non
prevede alcun ordine operativo.
L’annuncio viene trasmesso, alle 19,45
mentre è in onda un programma di musica
leggera in quel momento il cantante
Alberto Rabbagliati sta cantando il
motivo La strada nel bosco.
Motivo musicale tratto dal film Fuga
a due voci di Ludovigo Bragaglia con
Gino Bechi e Irasema Diliàn del 1942, in
una Italia sotto le bombe in un Paese
stremato dalla miseria e dalla fame, il
ritornello recita «Vieni c’è una
strada nel bosco, il suo nome
conosco vuoi conoscerlo tu» la
trasmissione viene sospesa per il
proclama dell’avvenuto armistizio con
gli Alleati che poi nelle ore che
conseguono sarà ripetuto a intervalli.
Il motivo musicale ha l’aria di un
invito al Paese a ritrovare la via del
riscatto Nazionale in quelle tragiche
ore. Appare importante ricordare questi
piccoli e significativi particolari per
calarsi nel contesto degli avvenimenti.
Quando la sera dell’8 settembre si
diffonde la notizia della capitolazione
italiana, i soldati reagiscono con gioia
ed entusiasmo, convinti che la guerra
sia ormai finita. Gli ufficiali al
contrario non nascondono il loro
disorientamento e sgomento anche perché
continuano ad arrivare direttive spesso
contraddittorie o inattuabili. Ufficiali
e soldati vivono e percepiscono in modo
diverso il periodo di tempo compreso tra
la caduta di Mussolini e l’armistizio,
come anche le circostanze del disarmo e
del trasferimento nei luoghi di
prigionia. Non v’è dubbio che le
avvisaglie di un imminente armistizio
vengono colte prima e più chiaramente
dagli ufficiali. Questa percezione si
fonda solo in minima parte nel
peggioramento dei rapporti
italo-tedeschi al fronte dal momento che
i cambiamenti operativi delle unità
tedesche non passano inosservati e i
rapporti sono abbastanza buoni e
camerateschi.
Disposizioni di massima sono state
diramate nei giorni precedenti. I
comandi d’armata e di corpo d’armata che
la sera dell’8 e nella notte del 9
settembre chiedono direttive al comando
supremo ottengono, quando le ricevono
risposte interlocutorie e dilatorie; e
negli stessi termini rispondono ai
comandi sottoposti. Un quadro di queste
ore concitate bene le rappresenta nel
1960 il regista Luigi Comencini nel film
Tutti a casa interpretato da
Alberto Sordi. Prevalgono gli interessi
personali, le rivalità dei comandi e,
come conseguenza l’immobilismo nella
Capitale è totale per il timore della
reazione tedesca.
Venendo meno la speranza di un
intervento militare degli Alleati a Roma
conseguente all’annuncio
dell’armistizio, il re e Badoglio
insieme alla famiglia reale trasferitasi
la sera dell’8 settembre al Ministero
della Guerra, all’alba del 9 settembre
assieme con gli alti gradi abbandonano
la Capitale per raggiungere Ortona dove
proseguono via mare a bordo della
corvetta “Baionetta” della Regia Marina,
sino a Brindisi dove sbarcano nel
pomeriggio del 10 settembre, precedendo
di un giorno l’arrivo degli
angloamericani.
La reazione violenta tedesca non si fa
attendere: le truppe tedesche attaccano
la sera stessa i reparti italiani posti
in difesa di Roma, la città viene
occupata nel giro di poche ore. Mentre
sono in corso violenti combattimenti a
fianco dei reparti italiani partecipano
alla battaglia molti cittadini che sono
stati armati dai rappresentanti del
popolo; armi ricevute dal generale
Carboni, in seguito a una decisione
maturata e concordata diversi giorni
prima tra il generale e alcuni
rappresentanti del fronte d’azione
antifascista: Giuseppe Di Vittorio,
Luigi Longo e Antonello Trombatori.
La decisione del governo Badoglio e dei
comandi italiani di mantenere un
atteggiamento passivo nei confronti
della violenta reazione delle forze
germaniche, anziché passare
all’offensiva o difendersi come prevede
la circolare OP 44 secondo gli impegni
presi nelle trattative per l’armistizio,
provoca la dissoluzione delle unità
italiane, e la prova più evidente è la
mancata difesa di Roma. Quindi in queste
circostanze le massime autorità dello
Stato, del governo e le alte gerarchie
militari, antepongono i loro destini
personali, al senso di responsabilità e
di dovere verso la Nazione.
Riferimenti bibliografici:
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Del Terzo Reich, Stato Maggiore
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Einaudi, Torino 2005.
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P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele
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G. Castellano, Come Firmai
L’Armistizio, Mondatori, Milano
1945. |