N. 12 - Maggio 2006
IL '68 IN UNIONE SOVIETICA
La manifestazione dei sette sulla
Piazza Rossa
di
Stefano De Luca
Il 25
agosto del 1968, mentre Dubček si trovava a
Mosca per ‘trattare’ la resa della Cecoslovacchia, a
mezzogiorno sette persone diedero vita ad una
manifestazione di protesta sulla Piazza
Rossa contro l’intervento militare sovietico in
Cecoslovacchia. Si trattava di Natalija
Gorbanevskaja, Konstantin Babickij,
Larisa Bogoraz Daniel’, Vadim Delone,
Vladimir Dremljuga, Victor Fajnberg e
Pavel Litvinov. A loro si aggiunse qualche
passante, come la giovane studentessa Tatjana Baeva,
che ne approvava le rivendicazioni.
Natalija Gorbanevskaja, poetessa il cui nome apparve
per la prima volta sulla rivista Sintaksis,
manifestò portando con sé il figlio lattante in un
passeggino, a dimostrazione degli intenti pacifici e
legalitari usati dai sette in Piazza Rossa. Il poeta
Vadim Delone, condannato ad un anno di reclusione per
la manifestazione in piazza Puškin del 22 gennaio
1967, non si era dato per vinto, dimostrando di
possedere l’animus del vero dissidente. Victor
Fajnberg, ebreo, dopo una vita trascorsa lavorando nei
cantieri edili, nel 1960 si iscrisse alla facoltà di
Lettere di Leningrado, riuscendo a laurearsi nel 1968,
appena pochi mesi prima della manifestazione del 25
agosto. Come si è visto, il fisico Litvinov, molto
attivo durante il processo ‘dei quattro’, in piazza
Rossa combatteva anche una parallela battaglia
personale col KGB, che più di una volta lo aveva
ammonito dal non compiere azioni di carattere
dissidente. Gli altri manifestanti erano Larisa
Bogoraz, ex moglie di Daniel’ ed ora compagna del
dissidente Anatolij Marčenko, l’operaio Vladimir
Dremljuga ed il linguista Konstantin Babickij.
Ciò
che differenzia questa manifestazione del dissenso da
quelle che l’avevano preceduta, è la «coscienza
internazionalista» che animava i partecipanti. Infatti
la manifestazione del 25 agosto, anche se fatta da un
numero estremamente esiguo di persone, sancì un sorta
di unità degli interessi tra i popoli dell’Est
europeo, soggetti ad un regime comune. La ‘Primavera’
di Praga, si trasformò in Unione Sovietica nella
‘Primavera’ di alcuni individui: i dissidenti.
Tra
il 9 e l’11 ottobre del 1968 Babickij, Bogoraz, Delone,
Dremljuga e Litvinov vennero processati dal
Tribunale penale di Mosca in base agli art.
190/3 (violazione dell’ordine pubblico) e
190/1 (diffusione di notizie palesemente
false che diffamano il sistema statale e sociale
sovietico) del Codice Penale della Repubblica
Federativa Russa (ognuna delle Repubbliche che
formavano l’URSS avevano articoli identici nella forma
e nella sostanza nei rispettivi CP). L’imputazione
dell’art. 190/1, venne giustificata dal testo degli
slogan dei manifestanti: «Per la vostra e la nostra
libertà», «Abbasso gli occupanti», «Libertà per Dubček»,
«Viva la Cecoslovacchia libera e indipendente».
La
Corte era presieduta dal giudice Ljukova, mentre la
Pubblica Accusa era sostenuta dal vice-procuratore di
Mosca Drel’. La difesa degli imputati, affidata agli
avvocati Kallistarova (molto attiva in difesa dei
dissidenti), Monachov, Kaminskaja, (Larisa Bogaraz
volle difendersi di persona) presentò varie istanze.
Principalmente, chiedeva un supplemento di istruttoria
“allo scopo di determinare l’identità delle persone
che hanno colpito ed arrestato i manifestanti”,
compiendo “una violazione dell’ordine pubblico in
Piazza Rossa”.
Le
condizioni in cui si svolse il processo, risultano
uguali in tutto e per tutto a quelle adottate dalle
autorità a partire da Sinjavskij e Daniel’, tanto che
si può parlare dei ‘processi al dissenso’ come
di una categoria sui generis, distinguibile in
base ad alcuni elementi: processo formalmente
pubblico, al quale però partecipa un pubblico
selezionato; parenti ed amici degli imputati, e
giornalisti stranieri, costretti a rimanere fuori dal
portone del tribunale; palese violazione durante le
sedute della legalità e dell’ordine nella sala, visto
che le continue provocazioni da parte dell’auditorio
durante le testimonianze degli imputati non venivano
mai interrotte da un intervento del giudice; rischio
elevato per l’«imputato» di essere dichiarato «non
imputabile», e quindi rinchiuso in un manicomio.
Nel
caso del processo dell’ottobre del 1968,
l’inconsistenza delle accuse apparve ancor più chiara,
visto che i cinque miliziani che presero parte
all’arresto dei manifestanti fornirono, il primo
giorno di udienza, delle testimonianze talmente
contraddittorie, che tre di loro non presero più
parte, nei giorni successivi, alle udienze
processuali. Vennero dichiarati «in viaggio di
servizio», ed allontanati per non dare altri vantaggi
alla difesa.
D’altronde, per i cinque miliziani fu difficile
dimostrare il fatto che non si conoscessero tra di
loro, e che si trovassero solo ‘casualmente’ sulla
Piazza Rossa in quel momento, visto che tutti e cinque
prestavano servizio nello stesso reparto militare (il
numero 1164).
Per
quel che riguarda il merito della dimostrazione del 25
agosto, gran parte della requisitoria di Drel’ fu
incentrata sulla legittimità, a suo avviso,
dell’intervento militare in Cecoslovacchia. Quando gli
imputati hanno tentato di spiegare le motivazioni
della loro protesta, sono stati interrotti dal
giudice. Ascoltare la testimonianza di un dissidente
su un argomento di questa importanza, poteva mettere
il giudice in serie difficoltà. L’istruttoria quindi
non mise in luce gli intenti che avevano animato gli
imputati durante la manifestazione, ma diede rilievo
esclusivo alla condotta che i manifestanti avrebbero
tenuto in Piazza Rossa, condotta ricavata unicamente
dalle testimonianze fornite dai miliziani.
Vladimir Dremljuga ricevette, come chiesto da Drel’,
tre anni di reclusione, mentre Vadim Delone, che aveva
invitato il tribunale “non all’indulgenza, ma alla
moderazione”, ricevette due anni e dieci mesi di
reclusione, sei mesi in più di quanto richiesto dalla
Pubblica Accusa. Entrambe le pene, erano da scontarsi
nei campi di lavoro correttivo. Babickij, Bogoraz e
Litvinov, vista l’assenza di precedenti penali ed il
fatto che tutti e tre avessero figli a carico, furono
giudicati in base all’art. 43 del CP, che prevedeva il
confino, e furono condannati rispettivamente a tre,
quattro e cinque anni di tale pena.
Natalja Gorbanevskaja e Victor Fajnberg non subirono
invece alcun tipo di procedimento penale, in quanto
giudicati dal tribunale “non imputabili” in base alla
diagnosi della perizia psichiatrica cui erano stati
sottoposti nel mese di ottobre 1968 presso l’Istituto
Serbskij di Mosca. Victor Fajnberg, al quale il 25
agosto erano stati rotti alcuni denti dai miliziani
intervenuti sulla Piazza Rossa, subì l’internamento
nell’ospedale psichiatrico speciale di
Leningrado.
In
quanto madre di due bambini, Natalja Gorbanevskaja
venne momentaneamente risparmiata, ed affidata alla
tutela materna. Grazie alla ‘libertà’ di cui godette,
decise di scrivere una lettera, il 28 agosto del 1968,
indirizzata ai direttori di nove importanti quotidiani
occidentali. “A mezzogiorno sedemmo sul patibolo”,
scriveva la poetessa, “quasi subito sibilò un fischio
e da ogni lato della piazza si gettarono contro di noi
agenti del KGB in borghese. Noi sedevamo tranquilli e
non opponevamo resistenza”. Nonostante il rispetto
della legalità ed il carattere non-violento della
manifestazione, “a Victor Fajnberg percossero il volto
fino a farlo sanguinare”, così come a Pavel Litvinov,
mentre l’autrice della lettera venne inizialmente
risparmiata in quanto col figliolo in braccio. “Una
volta nella macchina della milizia”, testimonia la
Gorbanevskaja, “picchiarono anche me”.
I
manifestanti erano consapevoli delle conseguenze che
avrebbe cagionato la loro manifestazione, ma queste
non giustificavano il silenzio. “I miei compagni ed
io”, concludeva infatti Natalija Gorbanevskaja, “siamo
felici di aver potuto partecipare alla manifestazione
e dimostrare che non tutti i cittadini del nostro
Paese approvano la violenza che si compie in nome del
popolo sovietico. Ci auguriamo che di questo sappia o
saprà il popolo della Cecoslovacchia”.
La
mutua solidarietà è una caratteristica propria del
movimento del dissenso, e Natalija Gorbanevskaja
dimostrò di essere una vera dissidente. Infatti la
poetessa decise di mettere insieme un dossier
che raccogliesse tanto l’effettivo svolgimento della
manifestazione del 25 agosto, quanto gli atti del
processo ai dimostranti. Dal 1969 questo testo
cominciò a circolare nel samizdat col titolo
Polden’ (Mezzogiorno), e nel 1970 venne tradotto
in lingua francese ed inglese.
Roj Medvedev
sostiene che in Unione Sovietica “non ci fu un vero
movimento di solidarietà nei confronti della
Cecoslovacchia, e solo cinque persone [sette in
realtà] organizzarono una manifestazione di
solidarietà per i riformisti ceki. Non ci furono
lettere collettive, né prese di posizione o proteste,
e questa è un’ulteriore testimonianza della grossa
debolezza del movimento di dissidenza”. Il suo
discorso sembra eccessivo. La Cecoslovacchia fu una
molla, che se nell’immediato aveva provocato una
manifestazione poco più che simbolica, era destinata a
favorire la definitiva maturazione del movimento del
dissenso sovietico.
Inoltre, siamo a conoscenza di altre dimostrazioni di
dissenso contro l’intervento militare in
Cecoslovacchia. Ivan Jachimovič, presidente del
kolchoz lettone di Kraslav, membro del PCUS, aveva
protestato contro l’intervento militare in
Cecoslovacchia. Il 27 agosto del 1968 la sua
abitazione fu perquisita dal KGB. Gli vennero
sequestrati alcuni testi del samizdat, tra i
quali Stalin e la Seconda Guerra mondiale di
Grigorenko, gli appelli di Litvinov, ed alcuni
articoli sugli eventi che avevano luogo in
Cecoslovacchia. Nel mese di marzo del 1969 venne
arrestato in base all’art. 183 del CP della RSFS di
Estonia, “diffusione di invenzioni menzognere
destinate a screditare lo Stato e la società
sovietiche”. Nell’agosto del 1969 Jachimovič venne
giudicato non imputabile in base alla diagnosi
psichiatrica cui era stato sottoposto, ed internato in
un ospedale psichiatrico speciale.
Molto
attivo in difesa della ‘Primavera’ cecoslovacca fu
anche l’operaio Anatolij Marcenko, che dal 1960
al 1966 era stato rinchiuso in un lager per aver
tentato di varcare la frontiera iraniana. Nel 1968
indirizzò una serie di lettere a riviste sovietiche (Pravda,
Literarnij Listi, Prace) e straniere (L’Unità,
Morning Star, Humanité) in appoggio alla
politica di Dubček. Venne arrestato nel mese di luglio
per la “violazione delle norme che regolano il
soggiorno ed il passaporto interno”: risiedeva infatti
a Mosca senza avere l’autorizzazione. Rilasciato,
venne nuovamente arrestato nel mese di ottobre del
1969, e condannato a tre anni di lager per aver
diffuso, nei luoghi della precedente detenzione, degli
scritti sulla Cecoslovacchia libera.
Riferimenti
bibliografici:
Natalija Gorbanevskaja, Midi, place
Rouge, dossier de la manifestation du 25 août 1968 sur
la place Rouge, Paris, Laffont, 1970
Piero
Sinatti, Il dissenso in URSS nell’epoca di Brežnev.
Antologia della ‘Cronaca degli avvenimenti correnti |