N. 83 - Novembre 2014
(CXIV)
ANSCHLUSS
un altro sguardo sulla caduta del muro
di Filippo Petrocelli
Alla
cerimonia
per
i
venticinque
anni
della
caduta
del
Muro
di
Berlino
non
mancava
nessuno:
non
mancavano
i
protagonisti
di
allora
– Gorbacev
e
Wałęsa
su
tutti
– ma
erano
presenti
anche
Angela
Merkel
e
Martin
Schultz.
Una
celebrazione
in
pompa
magna,
con
l’immancabile
retorica
delle
grandi
occasioni,
l’Inno
alla
Gioia,
le
rockstar
e
migliaia
di
palloncini.
Ancora
una
volta
a
prevalere
sono
state
le
emozioni
e il
cuore:
qualcosa
di
simile
a
quanto
avvenuto
nei
giorni
dell’unificazione
tedesca,
quando
chiunque
solidarizzava
con
le
persone
che
a
Berlino
abbattevano
uno
dei
simboli
del
fallimento
del
blocco
socialista.
Eppure
il
processo
di
unificazione
tedesco
seguito
al
crollo
del
Muro
presenta
molti
lati
oscuri
mai
raccontati.
La
narrazione
ufficiale
descrive
l’unificazione
delle
due Germanie
come
un
atto
di
generosità
della
Repubblica
Federale
Tedesca
(RFT)
verso
la
Repubblica
Democratica
Tedesca
(DDR),
ovvero
la
disastrata
sorella
povera,
nient’altro
che
uno
stato
prossimo
alla
bancarotta.
Ma
il
filosofo
ed
economista
Vladimiro
Giacché,
nel
suo
Anchluss,
L’annessione
–
uscito
per
Imprimatur
nel
2013
e
tornato
prepotentemente
alla
ribalta
proprio
in
questi
giorni
–
attacca
documenti
alla
mano,
questa
ricostruzione.
E lo
fa
invocando
una
visione
più
coerente
di
quel
periodo,
ricordando
con
precisione
gli
eventi,
al
di
là
delle
ricostruzioni
di
comodo.
Non
solo:
Giacché
fornisce
le
prove
del
fatto
che
il
dissesto
economico
dell’Est
si
consuma
in
conseguenza
dell’unificazione
e
che
determinanti
sono
stati
modi
e
tempi
di
questo
processo,
non
senza
dimenticare
la
questione
monetaria,
ossia
l’estensione
alla
DDR
del
marco
occidentale.
Alla
festanti
immagini
dei
picconi
che
abbattono
il
Muro
il 9
novembre
1989
in
un
tripudio
collettivo,
l’autore
preferisce
ricordare
un’altra
data,
per
certi
versi
più
significativa:
il 1
luglio
1990,
quando
entra
in
vigore
il
trattato
di
unione
monetaria.
Nel
“volgere
di
una
notte”,
i
marchi
orientali
furono
cambiati
1:1
con
quelli
occidentali
che
diventano
la
nuova
moneta
unica
(in
precedenza
il
cambio
fra
le
due
monete
era
1:4,44).
È
bene
sottolineare
che
in
quel
momento
esistono
ancora
sia
la
DDR,
sia
la
Repubblica
Federale
Tedesca,
e
che
l’unione
economica
è il
primo
passo
verso
l’unificazione
politica.
Quello
che
genera
il
cambio
paritario
fra
i
“due
marchi”
nella
Germania
orientale
è
anche
una
forte
rivalutazione
dei
prezzi
di
circa
il
350%,
che
taglia
fuori
dal
mercato
tutte
le
merci
prodotte
dalle
aziende
del
paese.
La
DDR
infatti
esportava
circa
il
56%
del
suo
prodotto
industriale,
che
di
colpo
diventa
fuori
mercato:
troppo
caro
per
l’Est
europeo,
troppo
poco
competitivo
per
l’Occidente.
Ad
avvantaggiarsi
di
questa
situazione
sono
le
grandi
corporation
occidentali:
il
patrimonio
della
DDR
è
stimato
intorno
ai
600
miliardi
ed è
ancora
tutto
da
privatizzare.
Vista
la
necessità
di
accelerare
i
tempi
e le
pressioni
occidentali,
le
società
della
Germania
Est
sono
svendute
senza
remore,
anche
attraverso
una
complesso
escamotage
che
fa
comparire
le
imprese
indebitate
con
lo
stato
quando
in
realtà
non
lo
sono.
Tutto
ruota
intorno
alla
Treuhandanstalt
ovvero
“Istituto
di
amministrazione
fiduciario”,
il
fondo
fiduciario
a
cui
viene
affidata
la
privatizzazione
della
maggior
parte
delle
imprese
della
DDR,
in
realtà
controllata
dall’establishment
dell’Ovest.
Questa
società
fiduciaria
nasce
nel
1990
con
un
patrimonio
enorme
da
gestire,
mentre
chiude
nel
1994
con
una
perdita
di
256
miliardi,
realizzando
nei
fatti
le
più
rapide
privatizzazioni
della
storia.
E
con
tutte
queste
società
svendute
a
prezzi
irrisori
(circa
8500)
spesso
a
cifre
simboliche
– in
molti
casi
appena
1
marco
–
quasi
sempre
attraverso
trattative
private
e
mai
pubbliche,
non
sono
mancati
gli
scandali:
dal
torbido
omicidio
di
Rohwedder
(uno
dei
tre
presidente
dell’istituto),
all’aperta
violazione
di
una
serie
di
leggi,
fino
alle
truffe
e
all’assenza
di
controlli.
Non
a
caso
circa
l’87%
delle
industrie
orientali
finisce
nella
mani
di
società
e
cittadini
dell’Ovest,
mentre
il
7% a
investitori
stranieri
e
solo
il
6% a
ex-cittadini
della
DDR.
L’esito
di
tutto
questo
è la
completa
deindustrializzazione
dell’ex
Germania
orientale,
4
milioni
di
disoccupati
e la
più
grande
crisi
economica
di
tutto
il
blocco
orientale
(nel
1991
il
pil
segna
-67%
nel
1991).
A
conferma
gli
effetti
negativi
del
post-unità
c’è
anche
il
dato
dell’emigrazione
verso
Ovest,
che
aumenta
a
dismisura
negli
anni
successiva
alla
caduta
del
Muro.
Lo
studioso
Giacché
nel
suo
saggio
suggerisce
l’idea
che
durante
l’unificazione
tedesca,
la
Germania
occidentale
e il
governo
Kohl
(in
carica
durante
tutto
il
processo
di
unificazione)
considerino
la
Germania
Est
come
un
terreno
da
colonizzare
e
che
le
industrie,
le
cooperative
e il
patrimonio
immobiliare
della
DDR
siano
solamente
un
“tesoro”
da
saccheggiare.
L’odierna
supremazia
economica
della
Germania
sugli
altri
paesi
dell’eurozona
quindi
può
essere
anche
vista
come
effetto
di
quella
che
l’autore
chiama
provocatoriamente
Anschluss,
ovvero
“Annessione”.
Ma
Giacché
va
oltre
e
spiega
come
questa
operazione
sia
servita
da
esperimento
pilota
per
i
successivi
trattati
di
unione
monetaria
europea
e
quanto
la
Germania
unita
sia
stato
il
laboratorio
politico
del
neoliberismo
per
tutte
le
future
“imprese
economiche”.
E
infatti
quella
di
integrare
economie
periferiche
con
economie
avanzate
è il
perno
su
cui
è
stata
creata
tutta
la
zona
euro.
E
ancora
una
volta
passato
e
presente
si
confondono.