N. 79 - Luglio 2014
(CX)
LA LIBERAZIONE DI FIRENZE
Agosto 1944: Alleati e Resistenza
di Carlo Ciullini
Dopo l'8 Settembre, mentre il fascismo repubblicano tentava
di
imporre
il
proprio
dominio
alla
popolazione
di
Firenze,
il
Comitato
di
Liberazione
Nazionale
si
andava
sempre
meglio
organizzando
e
veniva
riconosciuto
come
autorità
di
governo
non
soltanto
dalle
cinque
formazioni
politiche
che
lo
componevano
(socialisti,
democristiani,
comunisti,
repubblicani
e
Partito
d'Azione)
e da
tutti
gli
antifascisti
in
generale,
ma
anche
dall'intera
cittadinanza
che,
tranne
i
fedelissimi
di
Mussolini,
finì
per
considerarlo
come
l'unica
rappresentanza
legale
della
volontà
popolare:
nel
Giugno
del
1944
lo
stesso
federale
di
Firenze
arriverà
a
mettersi
in
contatto
con
gli
esponenti
ufficiali
del
Comitato
per
trattare
la
consegna
della
città
e
concordare
il
trapasso
dei
poteri.
Tra i partiti che costituivano il Comitato stesso c'era
pieno
accordo
per
agire
entro
i
limiti
di
una
vasta
comunanza
di
interessi,
senza
compromettere,
né
in
un
senso
né
nell'altro,
la
volontà
popolare
che
si
sarebbe
espressa
in
piena
libertà
nella
futura
assemblea
costituente.
Nel mese di Febbraio del '44 si arrivò anche alla formazione
di
un
comando
militare
unico
alle
dipendenze
del
Comitato.
Soltanto
nel
mese
di
Giugno
tale
comando
unificato
riuscì
ad
assumere
la
direzione
della
guerra
partigiana
in
tutta
la
provincia.
Nei primi mesi del 1944 le organizzazioni di partito, soprattutto
il
Partito
comunista
e il
Partito
d'
Azione,
svolgevano
missioni
militari
per
proprio
conto,
e
soltanto
dopo
averle
compiute
ne
davano
avviso
al
C.T.L.N.
Per quanto riguarda lo spionaggio, le informazioni raccolte
dai
singoli
partiti
venivano
passate
al
Comitato
che,
dopo
averle
vagliate,
le
trasmetteva
ai
comandi
alleati
tramite
una
pluralità
di
canali:
uno
di
questi
canali
fu
la
radio,
in
particolare
il
cosiddetto
servizio
“Cora”
del
Partito
d'Azione.
Furono così fornite agli Alleati informazioni sulla dislocazione
delle
truppe
tedesche;
inoltre
veniva
richiesto
mediante
“Cora”
l'intervento
dell'aviazione
angloamericana
in
operazioni
di
appoggio
alle
bande
partigiane.
Nella primavera del 1944 gli attentati dinamitardi contro
tedeschi
e i
fascisti
si
intensificarono.
I comunisti posero in essere anche una notevole attività di
stampa
clandestina.
L'organo
ufficiale
del
comunismo
fiorentino
era
“Azione
comunista”,
di
cui
uscirono
durante
il
periodo
clandestino
diciotto
numeri.
“Azione comunista” era in buona parte un notiziario (con
carattere,
più
che
altro,
di
bollettino
di
guerra)
che
concentrava
l'attenzione
sulle
vittorie
dei
russi
sul
fronte
orientale,
ma
informava
anche
sulla
lotta
clandestina
a
Firenze:
ogni
cosa
veniva
considerata
nell'ambito
ristretto
dell'attività
di
partito,
ignorando
spesso
le
imprese
degli
altri
movimenti.
Il bollettino comunista, come anche i fogli clandestini
delle
altre
formazioni
politiche,
metteva
in
guardia
gli
antifascisti
dalle
spie,
citandone
nomi
e
cognomi,
e
indicava
al
disprezzo
della
pubblica
opinione
i
collaborazionisti.
Ciò che mancava era il dibattito ideologico: per i redattori
di
“Azione
comunista”
non
vi
era
elaborazione
di
un
ideale
politico,
e i
problemi
erano
tutti
della
realtà
contingente;
per
quelli
più
ampi,
che
coinvolgevano
un
ordinamento
politico
generale,
valevano
le
decisione
prese
in
altra
sede
e da
autorità
diverse
da
quelle
locali.
Oltre ad “Azione comunista”, a cominciare dal mese di Febbraio
del
1944
i
comunisti
fiorentini
iniziarono
anche
la
pubblicazione
di
un
foglio
dedicato
esclusivamente
agli
operai:
“Lotta
operaia”.
Inoltre
rimpastavano
un'edizione
toscana
de
“L'Unità”
e
vari
altri
opuscoli
propagandistici.
Anche il “Partito d'Azione” riuscì a pubblicare un proprio
giornale,
“Gioventù
d'Azione”,
il
cui
primo
numero
uscì
il
30
Luglio
del
'44:
contribuirono
a
questa
iniziativa
a
Firenze
Ernesto
Codignola,
Paolo
Barile,
Gianfranco
Piazzesi.
I risultati che il giornale si proponeva di raggiungere
erano
di
chiarir
le
idee
a
molti
giovani:
oltre
le
idee
fasciste
e
comuniste,
si
asseriva,
ci
poteva
essere
un
pensiero
(ottocentista
e
novecentista)
di
una
grande
esperienza
liberal-socialista,
esperienza
assimilabile
da
una
gioventù
d'azione
formata
soprattutto
da
studenti
universitari
e
operai
inseriti
nel
filone
di
Giustizia
e
Libertà.
Nel mese di Marzo del 1944 i fascisti riuscirono ad arrestare
molti
capi
del
Partito
d'Azione
fiorentino,
grazie
all'attività
di
alcuni
infiltrati.
La repressione fascista colpì anche i comunisti, che subirono
una
sessantina
di
arresti:
il
Partito
comunista
resistette
però
meglio
di
quello
d'Azione,
in
quanto
la
sua
organizzazione
contava
su
un
maggior
numero
di
aderenti
e su
una
tecnica
più
rigorosamente
cellulare.
Nonostante i successi conseguiti dalla polizia fascista, fu
proprio
il
Marzo
del
1944
a
vedere
non
soltanto
i
primi
scioperi,
ma
anche
l'intensificazione
delle
attività
di
sabotaggio
e
gli
attentati
dinamitardi.
Le rappresaglie poste in essere dai nazifascisti non servirono
a
frenare,
ma
anzi
sembrarono
stimolare
lo
slancio
della
Resistenza.
Nell'Aprile del 1944 le organizzazioni di partito ripresero
la
lotta
con
intensità;
il
terribile
inverno
che
aveva
decimato
le
formazioni
partigiane
era
ormai
passato:
l'azione
della
Resistenza
sugli
Appennini
cominciava
a
impensierire
anche
i
tedeschi.
Il 15 Aprile si ebbe a Firenze quello che fu forse l'attentato
più
clamoroso
di
quell'anno:
l'uccisione
di
Giovanni
Gentile.
Questo
episodio,
ben
rappresentativo
della
caratteristica
spirale
d'odio
che
contraddistingue
ogni
guerra
civile,
divise
l'antifascismo.
D'altronde, si deve tener conto che la variegata strutturazione
del
C.T.L.N.
(come
accadeva
in
effetti
in
seno
ad
ogni
C.L.N.
locale
sparso
nell'Italia
occupata
dalle
forze
nazifascista),
facilitava
la
possibilità
che
le
diverse
organizzazioni
di
partito,
osservante
ciascuna
il
proprio
credo
partitico,
perseguissero
differenti
modalità
di
azione
e di
lotta,
in
linea
con
i
propri
convincimenti
e
ideali.
L'atteggiamento di ossequio alla RSI in particolare, e alla
ideologia
fascista
in
generale
da
parte
di
Gentile,
parvero
agli
occhi
del
PCI
combattente
motivazione
sufficiente
per
condannare
a
morte
il
filosofo
siciliano.
Fu assassinato con due colpi di pistola, sparatigli da un
paio
di
partigiani
comunisti
che
gli
si
erano
avvicinati
presentandosi
come
studenti
universitari
desiderosi
di
informazioni
didattiche,
e
che
lo
freddarono
non
appena
quello
abbassò
il
finestrino
della
sua
autovettura;
si
racconta
che,
al
momento
dell'uccisione
gli
attentatori
esclamassero:
“Colpiamo
non
l'uomo,
ma
il
suo
ideale!”.
L'omocidio Gentile rispecchiava l'incapacità del comando
centrale
(“Comando
Marte”)
del
C.T.L.N.
di
poter
controllare
l'intero
apparato
resistenziale:
in
effetti,
ad
onta
di
un
volenteroso
tentativo
dei
suoi
gruppi
dirigenti
di
uniformarsi
ad
intendimenti
comuni
e a
pianificazioni
belliche
concertate,
spesso
le
varie
espressioni
della
Resistenza
agirono
a
modo
loro.
In effetti le formazioni partigiane italiane erano estensivamente
assai
frazionate:
su
una
cifra
di
circa
200.000
partigiani
in
armi,
all'epoca
della
Liberazione,
circa
100.000
appartenevano
a
formazioni
controllate
dal
PCI
e
altri
70.000
si
suddividevano
in
gruppi
controllati
dal
PSI
e
dal
Pd'A;
le
formazioni
autonome
e
democristiane
assommavano
circa
30.000
uomini.
Risultò veramente impossibile per i vari C.L.N. coordinare
e
dirigere
in
toto
ogni
azione
condotta
da
una
tale
gamma
di
formazioni.
E, a Firenze, l'eliminazione fisica di Gentile fu la chiara
espressione
delle
divergenze
ideologiche
e
strategiche
esistenti
all'interno
del
movimento
resistenziale.
Gentile dava senza dubbio un appoggio autorevole alla Repubblica
Sociale,
ed
era
stato
nominato
da
Mussolini
presidente
dell'Accademia
d'Italia:
in
quella
veste,
ancora
il
19
Marzo
del
'44,
aveva
tessuto
gli
elogi
del
fascismo
e di
Benito
Mussolini,
e
aveva
proclamato
storicamente
logica
la
resurrezione
del
Duce
e
l'alleanza
con
Hitler.
Gentile si sforzava tuttavia di mantenere un tono alto,
patriottico,
coerente
con
i
caratteri
della
sua
filosofia
e
con
una
fede
patetica
nella
possibilità
che
molto
potesse
essere
cambiato
purché
si
volesse
farlo:
riteneva
necessaria
non
la
lotta
con
le
armi,
ma
una
lenta
opera
di
convinzione
verso
quegli
italiani
che
si
erano
rivoltati
contro
il
movimento
fascista,
visto
dai
seguaci
come
continuatore
degli
ideali
del
Risorgimento.
Sarebbe ingiusto parlare di una sua partecipazione, morale
o
addirittura
materiale,
ad
atti
di
repressione:
sembra
anzi
che
intendesse
protestare
presso
Mussolini
contro
le
violenze
e
gli
orrori
perpetrati
in
quel
periodo
dalla
banda
Carità
contro
i
partigiani
prigionieri,
torture
di
cui
ormai
parlava
tutta
Firenze.
I soli a sostenere la legittimità morale dell'attentato
furono
i
comunisti,
mentre
il
C.T.L.N.
dichiarò
di
respingere
la
responsabilità
dell'atto.
L'antifascismo liberale ne fu indignato e Benedetto Croce
espresse
il
suo
cordoglio,
cosa
che
fecero
anche
gli
antifascisti
cattolici.
Ma
gli
azionisti
stessi,
pur
solitamente
duri
e
intransigenti,
si
dimostrarono
dissenzienti
(e,
primo
tra
essi,
il
dirigente
Codignola):
argomentarono
che
a
nessuno
poteva
sfuggire
l'odiosità
di
un
attentato
contro
una
personalità
a
cui
il
paese
intero
avrebbe
potuto
chiedere
conto
dell'operato
nella
forma
legalmente
più
alta
e
solenne,
essendo
a
tutti
nota
l'opera
di
moderazione
svolta
frequentemente
da
Gentile;
inoltre
il
suo
intervento
era
più
volte
valso
a
mitigare
provvedimenti
polizieschi,
a
rimuovere
ingiustizie,
a
evitare
una
più
dura
repressione.
A queste considerazioni i comunisti ribatterono che Gentile,
tanto
spesso
cantore
della
provvidenzialità
storica,
era
a
sua
volta
caduto
vittima
della
moralità
della
Storia.
Intanto gli Alleati continuavano a rifornire i partigiani
con
lanci
di
materiali,
armi
e
munizioni
senza
riguardo
al
colore
politico
delle
formazioni
che
componevano
la
Resistenza
sulle
colline
attorno
a
Firenze;
l'obbiettivo
immediato
e
prioritario,
per
gli
anglo-americani,
era
sconfiggere
i
nazisti.
Anche durante tutto il mese di Maggio del 1944 continuò
spietatamente
la
guerra
civile:
i
fascisti
torturavano
e
fucilavano,
i
partigiani
combattevano
e
attentavano
con
cariche
di
tritolo
all'organizzazione,
alle
comunicazioni
e
alle
vite
dei
loro
nemici.
All'inizio di Giugno si ebbe la liberazione di Roma (e, in
quegli
stessi
giorni,
veniva
aperto
anche
il
secondo
fronte
con
lo
sbarco
in
Normandia),
e
con
essa
la
speranza
che
presto
sarebbe
stata
la
volta
di
Firenze.
Ma a Roma era mancata l'insurrezione popolare contro il
nazifascismo
(anche
a
causa
dell'intervento
del
pontefice,
che
voleva
ad
ogni
costo
impedirla),
e i
dirigenti
del
C.L.N.
si
erano
convinti
che
tra
i
comandanti
alleati
si
fosse
insinuata
la
pericolosa
idea
che
la
libertà
del
popolo
italiano
potesse
giungere
soltanto
come
dono
delle
armate
alleate.
Era quindi necessario, secondo i partiti antifascisti, che
la
gente
di
Firenze
mostrasse
al
mondo,
con
l'insurrezione
armata,
il
desiderio
degli
italiani
di
dare
la
vita
per
liberarsi
dal
pesante
giogo
della
dittatura,
qualora
si
presentasse
la
possibilità
di
un
risultato
positivo:
era
un
modo
per
riaffermare
l'indipendenza
italiana
nei
confronti
degli
Alleati.
Questa necessità di insorgere, dunque, che per molti costituiva
una
esigenza
morale,
aveva
invece
un
evidente
riflesso
politico
nella
realtà
contingente.
Se la liberazione di Firenze fosse stata attuata soltanto
dalle
truppe
di
Alexander,
ciò
avrebbe
significato
la
imposizione,
da
parte
dell'amministrazione
militare
alleata,
delle
forze
di
governo,
delle
leggi,
degli
uomini
politici
graditi
a
Londra
e a
Washington:
avrebbe,
in
pratica,
significato
la
rinuncia
ad
ogni
autonomia
politica
per
il
presente
e
per
il
futuro.
Ciò accadde, invece, nella parte orientale del continente
europeo:
l'unico
paese
che
rimase
indipendente
fu
la
Yugoslavia,
non
soltanto
perché
a
Yalta
Churchill
e
Stalin
avevano
stabilito
di
poter
esercitare
una
influenza
paritaria,
al
50%,
su
quel
paese,
ma
anche
perché
Belgrado
fu
liberata
dalle
truppe
di
Tito
e
non
dall'Armata
Rossa.
Prima della liberazione di Firenze, il problema era quindi
quello
di
far
riconoscere
i
C.L.N.
come
organi
di
governo,
rappresentativi
davvero
della
volontà
del
popolo
italiano:
una
insurrezione
nel
capoluogo
toscano
avrebbe
creato
una
amministrazione
antifascista
già
funzionante
prima
ancora
dell'arrivo
delle
forze
anglo-americane,
le
quali,
messe
di
fronte
al
fatto
compiuto,
non
avrebbero
potuto
non
tenerne
conto.
Nel Giugno del 1944 gli scontri tra tedeschi e partigiani
nelle
immediate
vicinanze
della
città
di
Firenze
erano
ormai
quotidiani.
Le
speranze
di
una
rapida
liberazione,
conseguente
a un
imminente
crollo
dei
tedeschi,
venivano
alimentate
da
notizie
di
continue
vittorie
degli
Alleati
a
Occidente
e
dei
russi
sul
fronte
orientale.
Grazie all'avvicinarsi delle armate alleate, energie fresche
affluivano
in
numero
sempre
crescente
nelle
fila
partigiane:
fu
ciò
che
permise
al
Partito
d'Azione
di
riorganizzarsi
dopo
la
scoperta,
da
parte
nazista,
dell'organizzazione
“Cora”,
all'inizio
di
Giugno
'44.
Del resto l'attività insurrezionale si andava intensificando
in
ogni
settore.
Le
banda
partigiane
operanti
nei
dintorni
della
città
aumentavano
ogni
giorno
i
propri
effettivi
e si
davano
un'organizzazione
sempre
più
militare.
I vari e dispersi nuclei che, nonostante i continui rastrellamenti,
avevano
continuato
la
loro
attività
nel
complesso
montuoso
del
Monte
Morello
e
della
Caldana,
si
fusero
in
una
unità
organica
controllata
dai
comunisti.
Sempre a Nord di Firenze, inchiodata al Monte Giovi nel
Mugello,
resisteva
la
brigata
partigiana
“Rosselli”.
A
oriente,
sul
Pratomagno
e
nel
Casentino
operavano
brigate
garibaldine,
mentre
più
a
sud,
nel
Chianti,
era
presente
la
brigata
“Sinigaglia”.
Sempre
a
sud
della
città,
fra
Roveta
e
Montespertoli,
si
trovavano
altri
concentramenti
di
unità
partigiane.
Anche nel cuore del capoluogo continuavano le azioni dei
partigiani
sotto
forma
di
attentati
a
fascisti
e
distruzione
delle
infrastrutture.
Ormai tutti i partiti del Comitato Toscano di Liberazione
Nazionale
avevano
una
loro
propria
organizzazione
militare;
anche
i
socialisti
e i
liberali
si
decisero
in
tal
senso:
i
primi
si
affidarono
a un
capitano
che
aveva
fatto
la
prima
guerra
mondiale,
mentre
i
secondi
posero
il
comando
nelle
mani
di
due
ufficiali
di
carriera
ancora
in
servizio.
I
democristiani,
invece,
già
da
alcuni
mesi
avevano
due
squadre
operanti
nei
dintorni
di
Firenze.
Sempre durante il mese di Giugno i comunisti accettarono,
come
detto,
la
creazione
di
un
comando
militare
unico,
che
a
Firenze
prese
il
nome
di
“Comando
Marte”.
Tale
organismo
era
composto
da
tutti
i
partiti
che
componevano
il
C.T.L.N:
il
suo
comandante
era
un
azionista.
Questa era la composizione del “Comando Marte”: comandante
il
colonello
di
complemento
Nello
Piccoli
(P.d'A.);
vice-comandante
era
il
capitano
in
servizio
permanente
effettivo
Nereo
Tommasi
(DC);
commissario
politico
incaricato
di
rappresentare
il
C.T.L.N.
in
seno
al
comando
militare
Luigi
Gaiani,
del
PCI,
mentre
il
ruolo
di
suo
vice
era
ricoperto
dal
capitano
di
complemento
Dino
Del
Poggetto
(PSIUP);
infine,
capo
di
stato
maggiore
risultava
il
maggiore
in
servizio
permanente
effettivo
Achille
Mazzi,
rappresentante
del
Partito
Liberale.
Per la maggior parte della cittadinanza il problema più
importante
era
se
Firenze
sarebbe
stata
o no
considerata
città
aperta
come
Roma,
oppure
se i
tedeschi
avrebbero
cercato
di
difenderla
per
rallentare
l'offensiva
alleata,
esponendola
quindi
alle
inevitabili
distruzioni
della
battaglia.
Questo dubbio non toccava il C.T.L.N., che aveva comunque
deciso
la
insurrezione
popolare
prima
della
partenza
dei
tedeschi
e
l'arrivo
degli
Alleati:
il
cardinale
Elia
Della
Costa,
invece,
tentava
di
avviare
trattative
con
tutte
le
parti
per
evitare
distruzioni
e
danni
inutili
alla
città.
Anche il console germanico Gerhardt Wolf, che non voleva
vedere
distrutte
le
bellezze
artistiche
fiorentine,
partecipava
a
queste
trattative;
a
onor
di
verità
bisogna
ricordare
che
lo
stesso
Hitler,
grande
ammiratore
dell'arte
italiana,
ordinò
di
risparmiare
il
Ponte
Vecchio:
tutti
gli
altri
ponti,
al
fine
di
ritardare
l'avanzata
alleata,
vennero
invece
fatti
saltare.
Nelle prime settimane del mese di Luglio partirono per il
nord
tutti
i
gerarchi
del
fascismo
fiorentino:
gli
uffici
amministrativi
presero
quindi
contatto
con
il
Comitato
che
nominò
e
inserì
propri
rappresentanti
ufficiali
nelle
varie
branche
dell'amministrazione
per
controllarne
l'attività
e
per
prepararsi
ad
assumerne
la
direzione.
Intanto continuavano gli attentati contro i fascisti e gli
atti
di
sabotaggio:
il
giorno
8
Luglio
1944
un
gruppo
di
giovani
del
Partito
d'Azione
fece
saltare
in
aria
il
centralino
telefonico
di
Porta
Romana,
che
congiungeva
il
comando
di
Kesserling
con
le
truppe
in
ritirata
a
sud
di
Firenze.
Il
comando
tedesco
rimase
così
isolato
per
trentasei
ore
consecutive.
Sempre più spesso accadeva che poliziotti o carabinieri
passassero
a
ingrossare
le
fila
dei
partigiani.
L'organizzazione del C.T.L.N. nel mese di Luglio subì un
duro
colpo
da
parte
della
polizia
nazifascista,
colpo
che
in
altri
momenti
avrebbe
potuto
rivelarsi
mortale:
un
ufficiale
della
milizia
riuscì,
infatti,
a
catturare
un
partigiano
che
attentava
alla
sua
vita.
Questi,
sottoposto
a
duro
interrogatorio
a
“Villa
Triste”
da
parte
della
“Banda
Carità”,
rivelò
i
nomi
di
molti
esponenti
di
primo
piano
della
Resistenza.
Dopo l'8 Settembre del 1943, a Firenze si costituì un ufficio
di
polizia
denominato
“Reparto
di
Servizi
Speciali”,
che
divenne
tristemente
famoso
con
il
nome
di
“Banda
Carità”,
dal
nome
del
suo
comandante
Mario
Carità:
suo
compito
era
di
scoprire
le
organizzazioni
resistenziali
e di
catturare
gli
esponenti
del
movimento
partigiano,
dei
comitati
di
liberazione
nazionale
e
dei
partiti
antifascisti.
La “Banda Carità” agiva prevalentemente a Firenze, in stretta
collaborazione
con
le
SS e
con
altri
servizi
di
polizia
tedeschi
e
italiani:
l'ultima
sede
operativa
della
Banda
fu
un
caseggiato
situato
a
Firenze
(via
Bolognese
n.67)
che
venne
denominato
“Villa
Triste”,
a
motivo
degli
interrogatori
là
inflitti.
La Resistenza si trovò quindi a essere decapitata proprio
alla
vigilia
della
liberazione:
ciò
porta
a
supporre
che
senza
l'aiuto
degli
Alleati
mai
sarebbe
stato
possibile
abbattere
il
regime
terroristico
instaurato
dal
fascismo
repubblicano,
appoggiato
tra
l'altro
dai
tedeschi.
L'avanzata alleata, comunque, convinse anche i tedeschi a
evacuare
la
città;
il
25
Luglio
restavano
a
Firenze
poco
più
di
mille
paracadutisti
e
guastatori
germanici
che
dovevano
servire
da
retroguardia
e da
copertura
alle
truppe
in
ritirata:
i
nazisti
prima
di
andarsene
fecero
saltare
le
due
centrali
telefoniche
e
requisirono
tutti
gli
automezzi
della
città.
Firenze diventò una sorta di terra di nessuno: il giorno 27
Luglio
1944
gli
Alleati
erano
a
soli
15
Km e
nella
città
si
fronteggiavano
i
pochi
tedeschi
rimasti,
aiutati
da
qualche
fascista
fanatico
deciso
a
tutto,
e i
patrioti,
scarsamente
armati,
ma
che
potevano
contare
sulla
solidarietà
più
o
meno
palese
di
tutta
la
popolazione.
Come si è già detto, il C.T.L.N. perseguiva un unico scopo:
l'insurrezione
armata,
e
l'attacco
ai
tedeschi
ad
ogni
costo
e in
qualsiasi
situazione.
Gli
Alleati,
giungendo
a
Firenze,
avrebbero
dovuto
trovare
l'antifascismo
in
armi
e un
popolo
libero,
che
con
il
sacrificio
si
fosse
conquistato
il
ruolo
di
alleato,
non
lasciandosi
trattare
da
popolo
occupato.
Il C.T.L.N. poteva contare anche sulle bande partigiane
dislocate
nelle
zone
montuose
vicino
a
Firenze,
ma
in
tutto
si
trattava
di
meno
di
tremila
uomini,
pur
se
ormai
abituati
da
mesi
a
una
continua
guerriglia
contro
i
nazifascisti,
e
raccolti
in
affiatate
unità
organiche
comandate
da
uomini
selezionati
dalle
esperienze
già
vissute:
l'armamento
veniva
fornito
dai
lanci
degli
angloamericani.
Le formazioni partigiane di maggior rilievo erano la divisione
“Arno”,
controllata
dal
Partito
comunista,
e le
brigate
“Rosselli”
del
Partito
d'Azione.
Alla fine di Luglio del 1944 queste formazioni cominciarono
a
convergere
su
Firenze
per
essere
pronte
a
intervenire
al
momento
dell'insurrezione.
Duecento partigiani in armi riuscirono a infiltrarsi nella
città,
e si
andarono
ad
aggiungere
ai
meno
di
tremila
effettivi
che
componevano
la
resistenza
cittadina.
Quindi,
tra
i
partigiani
sulle
montagne
e
quelli
in
città,
questi
ultimi
male
armati
e
non
temprati
da
precedenti
combattimenti,
non
si
raggiungevano
seimila
combattenti
da
mettere
in
campo
contro
gli
agguerriti
soldati
di
Hitler,
ben
armati
e
addestrati.
Ciò nonostante il comando militare unico elaborò un piano
che
prevedeva
di
attaccare
mentre
le
ultime
truppe
tedesche,
rifluendo
dal
fronte
meridionale,
stessero
attraversando
Firenze.
I tedeschi, al fine di tranquillizzare la popolazione, avevano
lasciato
intendere
al
cardinale
Della
Costa
di
poter
considerare
aperta
la
città
toscana,
così
come
si
era
fatto
nei
confronti
di
Roma:
in
realtà,
che
il
comando
germanico
fosse
intenzionato
ad
attraversare
Firenze
al
momento
della
ritirata,
malgrado
le
assicurazioni
costantemente
ripetute,
lo
si
evinceva
vedendo
come,
proprio
in
quei
giorni,
le
vie
erano
state
marcate
con
frecce
gigantesche
e
strisce
colorate
per
tre
diverse
trasversali
passanti
per
i
singoli
ponti,
trasversali
lungo
le
quali
avrebbe
dovuto
avvenire
il
deflusso
delle
truppe
germaniche.
Nonostante la creazione del comando militare unitario, le
unità
combattenti
rimasero
strutturate
a
seconda
della
colorazione
partitica.
Erano pronte a combattere con accanimento tutte le formazioni
partigiane,
comprese
le
democristiane
e le
liberali,
per
quanto
i
loro
fini
divergessero
da
quelli
delle
forze
di
sinistra:
queste,
infatti,
si
ponevano
lo
scopo
di
fondare
uno
stato
nuovo
e un
nuovo
ordine
sociale,
mentre
le
prime
si
consideravano
eredi
della
vecchia
tradizione
risorgimentale.
Il 29 Luglio il comando germanico ordinava di sgombrare una
vasta
zona
prospiciente
l'Arno,
sull'una
e
sull'altra
sponda:
circa
150.000
persone
furono
così
costrette
a
trovarsi
entro
poche
ore
un
nuovo
alloggio,
in
una
città
già
sovrappopolata
a
causa
delle
false
assicurazioni
tedesche
di
dichiararla
città
aperta.
Il 30 Luglio venne a mancare del tutto l'energia elettrica
e
l'acqua
nelle
abitazioni:
il
dramma
stava
per
arrivare
alla
conclusione.
Il C.T.L.N. decise che, al momento della liberazione, sindaco
sarebbe
stato
l'anziano
Gaetano
Pieraccini,
socialista
che
aveva
goduto
la
stima
e la
fiducia
non
soltanto
degli
uomini
politici,
ma
anche
di
tutta
la
cittadinanza.
Pieraccini
sarebbe
stato
coadiuvato
da
due
vice-sindaci,
uno
comunista
e
l'altro
democristiano.
Nella notte del 3 Agosto saltarono cinque dei sei ponti di
Firenze:
i
nazisti
risparmiarono
soltanto
il
Ponte
Vecchio,
sul
quale
era
però
impossibile
transitare
per
l'enorme
cumulo
di
macerie
che
ingombravano
le
vie
di
accesso.
Erano
le
macerie
dei
palazzi
e
delle
torri
della
città
medievale,
sotto
le
quali
i
tedeschi
nascosero
anche
delle
mine
che
nei
giorni
successivi
avrebbero
causato
non
poche
vittime
tra
la
popolazione
civile.
Il Maresciallo Alexander, nelle sue memorie, ricorda: “I
tedeschi
non
tentarono
di
tenere
la
linea
dell'Arno.
A
Firenze,
più
come
gesto
di
sfida
che
altro,
fecero
saltare
tutti
i
ponti,
eccetto
il
pittoresco
Ponte
Vecchio;
distrussero
però,
o
minarono,
le
case
all'estremità
del
ponte,
nel
debole
e
certamente
futile
tentativo
di
creare
una
specie
di
ostacolo
alla
nostra
avanzata.
Fa
piacere
sapere
che
gli
italiani
hanno
ormai
restaurato
tutti
i
ponti,
impiegando
le
pietre
originali
recuperate
dal
fiume”.
Il 4 Agosto le brigate partigiane e gli Alleati entravano
in
città,
e
divampava
la
battaglia
contro
i
tedeschi
e
gli
ultimi
fascisti
che,
arroccati
nelle
case,
agivano
quali
franchi
tiratori
contro
chiunque
transitasse
per
le
strade.
L'8 Agosto cadeva in questi combattimenti “Potente”, il
comandante
della
divisione
“Arno”,
ma
la
parte
della
città
sulla
riva
sinistra
dell'Arno
era
ormai
libera.
Sulla
riva
destra,
invece,
si
viveva
ancora
sotto
l'incubo
dell'occupazione
tedesca.
L'11 Agosto il Comitato assunse tutti i poteri di governo
provvisorio
quale
unico
organo
rappresentativo
del
popolo
fiorentino
e
fece
scattare,
con
il
suono
della
Martinella,
il
segnale
dell'insurrezione
generale:
ai
patrioti
fu
dato
l'ordine
di
muovere
all'attacco
delle
retroguardie
tedesche
al
fine
di
conquistare,
per
tutti
gli
italiani,
il
diritto
d'essere
una
nazione
finalmente
libera.
La battaglia di Firenze durò fino al primo giorno di Settembre,
con
alterne
vicende
anche
a
causa
delle
incertezze
degli
Alleati
che
non
agganciarono
i
tedeschi
in
ritirata.
A porre fine agli scontri furono le brigate azioniste, che
il
31
di
Agosto
occuparono
l'area
ospedaliera
di
Careggi.
La città si era quindi liberata da sé: gli angloamericani
rimasero
“scombussolati”
da
questa
circostanza.
Il
C.T.L.N.
era
riuscito
nel
compito
che
si
era
dato,
cioè
quello
di
presentarsi
come
organo
di
governo,
rappresentativo
del
popolo
come
unità
organizzata,
democratica
e
antifascista:
ciò
lo
rendeva
una
vera
autorità
capace
di
impegnarsi
e di
trattare
con
i
generali
delle
forza
alleate.
All'alba dell'11 Agosto il C.T.L.N. emanò un comunicato in
cui
assumeva
“tutti
i
poteri
di
governo
provvisorio
che
gli
competono
quale
organo
rappresentativo
del
popolo
toscano.
Forze del C.T.L.N. hanno fin da stamane occupato la città e
combattono
contro
i
tedeschi,
i
fascisti
e i
franchi
tiratori.
Tutti
i
cittadini
devono
contribuire
con
tutte
le
proprie
forze
alla
liberazione
della
città,
dare
tutto
l'aiuto
morale
e
materiale
ai
nostri
coraggiosi
patrioti.
Le
sofferenze
più
gravi
della
popolazione
stanno
per
cessare
con
la
nostra
vittoria”.
La battaglia, tuttavia, non era ancora finita, e costò fino
al
termine
degli
scontri
più
di
un
centinaio
di
vite
umane.
Ad ogni modo si cercò di ripristinare, seppur nella situazione
precaria
di
quei
giorni,
la
democrazia
in
ambito
rappresentativo;
così,
lo
stesso
11
Agosto
l'ormai
ottantenne
Pieraccini
fu
insediato
in
qualità
di
sindaco
a
Palazzo
Vecchio:
illustre
medico,
si
rivelò
ben
presto
non
solo
uomo
di
scienza
e
cultura,
ma
anche
fervente
politico.
Fin
dall'università,
infatti,
egli
fu
un
militante
socialista:
a
casa
sua
si
tenevano
regolarmente
gli
incontri
del
“Comitato
Interpartiti”.
Sul suo nome quale sindaco non ci fu dissenso tra i vari
gruppi
politici;
ciò
nonostante,
le
autorità
alleate
tentarono
di
opporsi
a
quella
carismatica
figura
quale
guida
comunale.
Ciò
sapendo,
egli
offrì
le
proprie
dimissioni,
ma
venne
convinto
dagli
altri
partiti
a
restare.
Il 13 Settembre 1944 venne ufficialmente nominato sindaco
dal
Governatore
Militare
Alleato;
Pieraccini
sarebbe
stato
coadiuvato
da
due
vicesindaci:
Mauro
Fabiani
(comunista)
e
Adone
Zoli
(DC).
La presidenza della deputazione provinciale fu attribuita
alla
Democrazia
Cristiana,
la
presidenza
del
Consiglio
provinciale
dell'economia
ai
liberali;
questore
venne
nominato
uno
dei
vice-questori
in
carica,
nella
persona
di
Soldani
Bensi,
già
da
tempo
in
contatto
con
le
organizzazioni
clandestine.
L'analisi dei personaggi e dei partiti che vennero, tutti
assieme,
a
comporre
l'amministrazione
della
città
contestualmente
alla
liberazione
è
importante
perché
la
geografia
politica
della
Firenze
del
secondo
dopoguerra
(e
di
quella
che
sarebbe
seguita
nei
decenni),
era
già
insita
nella
riorganizzazione
clandestina
dei
partiti
antifascisti.
E' necessario evidenziare un fondamentale aspetto: per quanto
giustamente
si
definiscano
le
truppe
alleate
“anglo-americane”,
la
componente
britannica
al
loro
interno
fu
assai
più
notevole
di
quella
statunitense.
D'altronde, lo stesso Segretario di Stato americano di allora,
Cordell
Hull,
ci
ricorda
che:
“ Il
presidente
Roosevelt
e
Churchill,
nelle
loro
prime
discussioni
sull'Italia,
si
erano
accordati
in
questo
senso
che,
essendo
il
Mediterraneo
un
teatro
di
operazioni
in
generale
britannico,
la
Gran
Bretagna
doveva
esercitare
sull'Italia
un
controllo
maggiore,
e
questo
si
riferiva
sia
al
comando
delle
operazioni
militari
che
al
comportamento
della
Commissione
Alleata
di
Controllo
e
all'AMG”.
Spettava agli inglesi, dunque, la determinazione politica
della
penisola
liberata:
ma
oltre
al
logico
appoggio
in
favore
del
conservatorismo
monarchico
(per
ragioni
storico-tradizionali
facilmente
deducibili),
vi
fu
in
essi
l'intenzione
poco
velata
di
mantenere
l'Italia
debole,
cercando
di
negarle
l'accesso
al
programma
di
ricostruzione
europea
(ERP).
Si creava così, in seno alla politica inglese nei confronti
della
nazione
italiana,
una
evidente
contraddizione
nei
metodi
e
negli
scopi:
mantenere,
da
una
parte,
debole
politicamente
ed
economicamente
la
penisola,
e
operare
compiutamente,
dall'altra,
per
rendere
più
forte
la
monarchia
e i
conservatori.
Ma aiutando e sostenendo un re, Vittorio Emanuele, ormai
chiaramente
impopolare,
i
britannici
favorirono
le
conseguenti
divisioni
all'interno
del
paese.
Tutto giocò quindi a favore dell'estremismo e della Resistenza
in
generale,
la
quale
seppe
profittare
a
proprio
vantaggio
del
malessere
e
della
povertà
immani
del
popolo.
L'esercito inglese, in pratica, si trovò impossibilitato a
pretendere
lo
stabilirsi
di
amministrazioni
a
esso
del
tutto
gradite,
perché
in
molti
casi
si
scontrò
con
lo
status
quo
stabilito
con
le
armi
dai
gruppi
partigiani,
giunti
prima
dei
britannici
stessi
a
liberare
le
città
dai
nazisti
(come
accadde
appunto
a
Firenze).
E, proprio in questi termini, assume un rilievo fondamentale
la
vicenda
fiorentina:
fu
infatti
il
primo
caso,
in
Italia,
in
cui
una
città
riusciva
a
darsi
da
sé
un
sindaco
e
una
amministrazione.
E ciò fu dovuto alla grande unità del C.T.L.N., i dirigenti
del
quale
riuscirono
a
sacrificare
le
esigenze
partitiche
a
favore
della
necessità
superiore
di
mantenere
la
saldezza
della
coalizione:
saldezza
non
solo
nei
confronti
del
nazifascismo
ma
anche,
come
detto,
degli
Alleati.
Il “Times”, espressione massima dell'opinione pubblica d'oltremanica,
scrisse
in
quei
giorni
della
liberazione:
“Firenze
è
stata
il
teatro
di
un
esperimento
spontaneo
di
autogoverno,
che
può
avere
importanza
considerevole
per
determinare
quale
sarà
il
sistema
politico
che,
in
definitiva,
prenderà
il
posto
del
fascismo”.
Riferimenti
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Battini
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1963;
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Quei
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e la
Martinella
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Monnier,
Firenze
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movimento
repubblicano,
GL e
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d'Azione,
Cappelli,
Firenze
1969;
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Tempi
duri:
guerra
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Resistenza,
Mulino,
Bologna
1966;
Spadolini
G,
Firenze
mille
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Le
Monnier,
Firenze
1977;
Stafford
J.,
Britain
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european
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Londra
1980;
Varsori
G.,
Gli
Alleati
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antifascista
(1940-43),
Sansoni,
Firenze
1982.