[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 160 / APRILE 2021 (CXCI)


contemporanea

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SUL 1848
I MOTI RIVOLUZIONARI E LA PRIMA GUERRA D’INDIPENDENZA

di Stelvio Garasi

 

Il 1848 è caratterizzato da una ondata di moti rivoluzionari contro i regimi assolutisti, denominati anche come “La primavera dei popoli”. In verità già nel 1820-1821 e nel 1830-1831, sono stati pervasi da movimenti rivoluzionari, di nuovo nel 1848 l’Europa si ribella all’assolutismo.

 

Rimangono esenti da questa fibrillazione, la Gran Bretagna che sotto il regno della regina Vittoria conosce un periodo di stabilità politica ed economica, grazie alle riforme elettorali del 1832. Anche la Russia non viene coinvolta dai moti del 1848 e dalle innovazioni rivoluzionarie della primavera dei popoli, per l’assenza di una classe borghese e la passività della controparte proletaria. Il fine dei moti è quello di abbattere i governi della “Restaurazione”, per sostituirli con esecutivi liberali.

 

L’effetto dei moti è assai violento tanto che nel linguaggio corrente è entrato in uso l’espressione «fare un quarantotto» per sotto intendere un putiferio. Per l’Italia è un momento importante, la lotta si esprime attraverso il patriottismo al fine di raggiungere l’indipendenza e l’unità del Paese. Nell’Europa molte città insorgono, per ottenere riforme sociali e avanzano la richiesta di una carta costituzionale. Nel febbraio del 1848 Parigi è messa a soqquadro da violenti disordini, in solo tre giorni la monarchia orleanista viene spazzata via, al suo posto s’insedia la seconda repubblica.

 

 

La rivoluzione in Italia e la prima guerra di indipendenza

 

I moti rivoluzionari del 1848 in Italia hanno sin dai primordi uno sviluppo autonomo rispetto agli altri europei, con l’inizio dell’anno si avverte un certo fermento tra i vari Stati. La causa delle fibrillazioni ha come scopo, peraltro condiviso da tutte le correnti politiche quello di ottenere la concessione di costituzioni o statuti.

 

La rivolta inizia il 12 gennaio a Palermo che ha come obiettivo rivendicazioni autonomistiche, tanto da indurre Ferdinando II di Borbone, il più conservatore fra tutti i regnanti della penisola, ad annunciare il 29 gennaio la concessione di una costituzione nel Regno delle due Sicilie. La decisione inaspettata di Ferdinando II non basta a placare gli animi, i moti per le rivendicazioni autonomistiche della Sicilia producono l’effetto di rinvigorire l’agitazione costituzionale in tutto il resto d’Italia.

 

Sull’onda di queste tensioni dell’opinione pubblica, sulle manifestazioni di piazza, prima Carlo Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di Toscana e Pio IX nell’intento di quietare gli animi si decidono a concedere la costituzione. Tranne quella di Pio IX, che prima dell’insurrezione di febbraio in Francia il Pontefice ha emanato uno statuto, stilato da solo ecclesiastici il quale stabilisce che su il godimento dei diritti di libertà siano esclusi i non cattolici.

 

Sono costituite tre camere: il Sacro collegio cardinalizio un Senato «inseparabile dal pontefice» affiancato da un Alto Consiglio i cui membri sono nominati a vita dal papa e un Consiglio di deputati che sono eletti per censo. Le costituzioni del 48 hanno un’impostazione moderata ispirate al modello francese del 1830.

 

Tra le costituzioni promulgate quella più importante è lo Statuto promosso da Carlo Alberto di Savoia dopo molte perplessità e la certezza di avere una forte presenza nei tre poteri dello Stato, viene promulgato l’8 febbraio, e diviene poi la legge fondamentale del Regno d’Italia, che prevede una Camera dei deputati, per cui la prassi della loro elezione sono stabilite da una legge, che prevede il diritto di voto legato a un censo piuttosto cospicuo, inoltre prevede anche un Senato di nomina regia strettamente dipendenti del governo dal sovrano. Le costituzioni che sono promulgate nel 1848 riconoscono tutte il cattolicesimo come religione di Stato, in quanto la Roma papalina è un baluardo per il potere dei sovrani.

 

 

Insurrezione di Venezia

 

Su l’esempio dei moti di Vienna, si sollevano anche Venezia e Milano. Il 17 marzo una grande manifestazione popolare, i dimostranti chiedono la liberazione dei detenuti politici tra cui si trova anche il capo dei democratici Carlo Cattaneo, il governatore austriaco è costretto a rimetterli in libertà. Ma i fermenti non si quietano questa volta si sollevano gli operai dell’Arsenale militare, a cui si uniscono ufficiali e marinai della marina asburgica la quale la maggioranza è composta da veneti, tanto da costringere i reparti austriaci a capitolare.

 

Il 23 marzo il governo provvisorio presieduto da Daniele Manin proclama la repubblica veneta. Dopo cinquant’anni di sul campanile di San Marco di nuovo sventola il vessillo con l’immagine del leone.

 

 

Le cinque giornate di Milano

 

 A Milano i il movimento insurrezionale inizia il 18 marzo, i rivoltosi assaltano il palazzo del governo la rivolta si protrae per cinque giorni, i moti rimangono nella memoria come «le cinque giornate» milanesi. Si innalzano le barricate, borghesi e popolani combattono uniti contro un contingente forte di quindicimila uomini posti al comando del maresciallo Radetzky. I ceti popolari si distinguono nel sostenere violenti scontri e lasciano sul terreno oltre trecento caduti. Viene creato un consiglio di guerra con a capo Carlo Cattaneo.

 

L’aristocrazia liberale in un primo tempo si mostra favorevole a un compromesso con il potere imperiale in fine sposa la causa degli insorti, il 22 marzo viene costituito un governo provvisorio. Lo stesso giorno il maresciallo Radetzeky temendo un intervento del Piemonte, ritira le sue truppe nei confini tra Lombardia e Veneto, nel quadrilatero che comprende le fortezze de Verona, Legnano, Mantova e Peschiera. Con la cacciata degli austriaci da Venezia e Milano, il 23 marzo il Piemonte dichiara guerra all’Austria.

 

In queste circostanze come è accaduto in occasioni precedenti che l’esempio di un sovrano di concedere la costituzione finisce per influenzare le decisioni degli altri. Allarmati dello sviluppo delle agitazioni democratiche e patriottiche destabilizzano i loro troni, Ferdinando di Borbone, Leopoldo II di Toscana e Pio IX, maturano la decisione di unirsi alla guerra antiaustriaca, inviano le proprie truppe regolari che vi partecipano con entusiasmo seguiti da una moltitudine di volontari.

 

La guerra piemontese assume un aspetto di una guerra d’indipendenza e federale benedetta dal pontefice Pio IX, combattuta da tutte le forze patriottiche. Questo entusiasmo si spegne in breve tempo per la scarsa determinazione di Carlo Alberto, (non a caso è soprannominato re tentenna) nella direzione delle operazioni militari, in quanto impegnato nel progetto dell’annessione del Lombardo Veneto, per il timore che divenga un centro di agitazione repubblicana. Questo comportamento è causa di malumori tra i democratici e le perplessità degli altri sovrani già poco convinti della partecipazione al conflitto, in loro matura il dubbio che nel caso di una conclusione vittoriosa della guerra anti austriaca, tra gli Stati partecipanti ne avrebbe favorito soltanto il Piemonte che beneficia dell’ equilibrio sorto dal Congresso di Vienna del 1815. Con un eventuale eliminazione dell’Austria gli Stati più piccoli in Italia, sono più deboli e diviene sempre più incerta la loro sopravvivenza.

 

I dubbi assalgono anche Pio IX in quanto si trova in guerra contro una potenza cattolica tanto che il 29 aprile annuncia il ritiro dal conflitto le truppe pontificie, qualche giorno dopo anche il granduca di Toscana segue il suo esempio. A metà maggio Ferdinando di Borbone che nel frattempo ha sciolto il Parlamento appena eletto richiama le sue truppe.

 

Nei corpi di spedizione molti sono disobbedienti, e decidono continuare a combattere contro l’Austria distinguendosi in un famoso fatto d’arme a Curtatone e Montanara. Alla guerra partecipa anche Giuseppe Garibaldi arrivato dal Sud America con i suoi volontari, che messosi a disposizione del governo provvisorio lombardo ha un ruolo limitato per volere di Carlo Alberto il quale non vuole lasciare spazio di azione ai democratici. Dopo qualche modesto successo le truppe piemontesi, sono sopraffatte nella battaglia di Custoza presso Verona e sono costrette a ritirarsi oltre il Ticino.

 

Il 9 agosto viene firmato l’armistizio con gli austriaci. Dopo la sconfitta del Piemonte a sostenere la lotta contro l’Impero asburgico rimangono i democratici italiani e ungheresi. Mentre in Ungheria la guerra contro il potere imperiale ha un carattere nazionale, in Italia i patrioti sono impegnati in una serie di battaglie locali come a Roma, Venezia, in Toscana e Sicilia, purtroppo la mancanza di un coordinamento nella lotta su i vari fronti si rivela un limite nel dare la giusta rilevanza popolare che si rende necessaria a una guerra di popolo, che deve unire alla prospettiva della liberazione nazionale quella dell’emancipazione politica e del rinnovamento sociale. Ma la piccola e media borghesia per la conquista di questi principi ha bisogno del sostegno dei ceti popolari, soltanto in minima parte vi partecipa, la maggioranza della popolazione italiana è indifferente quando non è apparentemente ostile alle loro battaglie.

 

Ciononostante nell’autunno del 1848 in Italia gli eventi rivoltosi non sono precipitati del tutto, la Sicilia è sotto il controllo dei separatisti che peraltro si sono dati un governo e una costituzione democratica. Venezia dopo la sconfitta di Custoza è sotto il controllo dei rivoltosi e Manin ha di nuovo proclamato la repubblica. In Toscana il gran duca pressato dall’azione insistente popolare è costretto a dar vita a un ministero democratico, guidato da Giuseppe Montanelli e da Francesco Domenico Guerrazzi. A Roma a novembre viene ucciso in un attentato mentre esce dal palazzo della Cancelleria il ministro liberal democratico Pellegrino Rossi, Pio IX abbandona Roma e si rifugia a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando di Borbone.

 

L’azione dei democratici in Piemonte nel marzo del 1849 non si spegne, Carlo Alberto è pressato dalle loro richieste e l’intransigenze degli austriaci che pongono condizioni pesanti per la firma della pace, il monarca decide di riprendere le armi e il 20 marzo 1849 riprendono le ostilità. Carlo Alberto però questa volta deve confrontarsi con un esercito non più in ritirata, ma con un armata organizzata e determinata ad attaccare.

 

L’esercito guidato dal maresciallo Radezky affronta l’esercito piemontese il 22-23 marzo 1849 nei pressi di Novara dove gli infligge una grave sconfitta. La sera stessa del 23 marzo, Carlo Alberto, per non compromettere le sorti della dinastia, abdica in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II, che il giorno successivo firma un armistizio con gli austriaci. Nel frattempo a Genova delle manifestazioni democratiche sono represse nel sangue dall’esercito. Sconfitto il Piemonte gli austriaci procedono senza ostacoli alla restaurazione dell’ordine nella penisola.

 

Alla fine di marzo insorge Brescia, gli scontri si protraggono per dieci giorni in fine la rivolta è repressa nel sangue. In aprile le truppe imperiali austriache cingono d’assedio Venezia, la città lagunare si batte eroicamente per cinque giorni ma è costretta a capitolare per fame. A maggio Ferdinando di Borbone riconquista la Sicilia, gli austriaci pongono fine alla esperienza della Repubblica toscana, e occupano il territorio delle missioni diplomatiche pontificie di Bologna, Ferrara e le Marche settentrionali.

 

Più duratura e celebre è la resistenza della Repubblica Romana come esempio di rivoluzione democratica, dove accorrono molti esuli e cospiratori i cui nomi costituiscono un patrimonio della memoria storica del nostro Paese come: Mazzini, Garibaldi, Mameli, Manara e tanti altri. Il governo repubblicano dal giorno del suo insediamento si distingue, per il vigore nell’impegno di costituire uno Stato laico e di rinnovamento politico e sociale, sono aboliti i tribunali ecclesiastici, confisca dei beni del clero. Viene approvato caso unico nelle rivoluzioni dell’800 in Italia, un programma agrario che prevede parte dei fondi confiscati in affitto perpetuo per le famiglie indigenti.

 

Pio IX dal suo esilio fa appello a tutte le potenze cattoliche affinché le vengono restituite le terre che ha perduto. A tale appello risponde l’Austria, Spagna e il Regno di Napoli, anche la Francia fa suo l’appello del Pio IX in quanto ormai è guidata da forze clerico- conservatrici. Il presidente Bonaparte per avere il sostegno dei cattolici e per scongiurare un intervento degli austriaci si precipita a inviare nel Lazio un corpo di spedizione francese composto da 35.00 uomini allo scopo di ottenere un ruolo principale nella restaurazione pontificia.

 

I primi di giugno le truppe francesi attaccano la capitale. I repubblicani hanno affidato i pieni poteri a un triunvirato composto da: Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini che contrastano gli attaccanti per circa un mese. La Repubblica romana pur se priva di ogni possibilità militare, si distingue per il suo modello di politica innovativa e ideale. Il 4 luglio prima di capitolare, l’Assemblea costituente approva il testo della Costituzione, che diviene un documento simbolo della politica democratica alternativa agli statuti di ispirazione moderata.

 

Quando le truppe francesi entrano a Roma Garibaldi con pochi volontari cerca di raggiungere Venezia. Con la fine dell’esperienza della Repubblica romana, a parte la strenua resistenza della città lagunare soltanto in Ungheria rimangono accesi i fuochi di rivolta, dove i patrioti ungheresi sfruttano l’impiego delle forze austriache in Italia per riprendere il controllo del paese e proclamano l’indipendenza.

 

 Il governo austriaco per far fronte alla situazione è costretto a chiedere aiuto allo zar di Russia, che preoccupato dai focolai rivoluzionari ai confini del suo impero non esita a intervenire militarmente. Lo Stato magiaro attaccato da due eserciti soccombe l’11 agosto 1849, due settimane dopo anche Venezia è costretta a capitolare. Si conclude così la stagione dei moti rivoluzionari iniziata nel 1848.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G.Sabbatucci, V. Vidotto. Storia Contemporanea L’Ottocento, Laterza, Bari 2020.

G. Monsagrati, Roma Senza il Papa, Laterza, Bari 2020. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]