contemporanea
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SUL 1848
I MOTI RIVOLUZIONARI E LA PRIMA GUERRA
D’INDIPENDENZA
di Stelvio Garasi
Il 1848 è caratterizzato da una ondata
di moti rivoluzionari contro i regimi
assolutisti, denominati anche come “La
primavera dei popoli”. In verità già nel
1820-1821 e nel 1830-1831, sono stati
pervasi da movimenti rivoluzionari, di
nuovo nel 1848 l’Europa si ribella
all’assolutismo.
Rimangono esenti da questa
fibrillazione, la Gran Bretagna che
sotto il regno della regina Vittoria
conosce un periodo di stabilità politica
ed economica, grazie alle riforme
elettorali del 1832. Anche la Russia non
viene coinvolta dai moti del 1848 e
dalle innovazioni rivoluzionarie della
primavera dei popoli, per l’assenza di
una classe borghese e la passività della
controparte proletaria. Il fine dei moti
è quello di abbattere i governi della
“Restaurazione”, per sostituirli con
esecutivi liberali.
L’effetto dei moti è assai violento
tanto che nel linguaggio corrente è
entrato in uso l’espressione «fare un
quarantotto» per sotto intendere un
putiferio. Per l’Italia è un momento
importante, la lotta si esprime
attraverso il patriottismo al fine di
raggiungere l’indipendenza e l’unità del
Paese. Nell’Europa molte città
insorgono, per ottenere riforme sociali
e avanzano la richiesta di una carta
costituzionale. Nel febbraio del 1848
Parigi è messa a soqquadro da violenti
disordini, in solo tre giorni la
monarchia orleanista viene spazzata via,
al suo posto s’insedia la seconda
repubblica.
La rivoluzione in Italia e la prima
guerra di indipendenza
I moti rivoluzionari del 1848 in Italia
hanno sin dai primordi uno sviluppo
autonomo rispetto agli altri europei,
con l’inizio dell’anno si avverte un
certo fermento tra i vari Stati. La
causa delle fibrillazioni ha come scopo,
peraltro condiviso da tutte le correnti
politiche quello di ottenere la
concessione di costituzioni o statuti.
La rivolta inizia il 12 gennaio a
Palermo che ha come obiettivo
rivendicazioni autonomistiche, tanto da
indurre Ferdinando II di Borbone, il più
conservatore fra tutti i regnanti della
penisola, ad annunciare il 29 gennaio la
concessione di una costituzione nel
Regno delle due Sicilie. La decisione
inaspettata di Ferdinando II non basta a
placare gli animi, i moti per le
rivendicazioni autonomistiche della
Sicilia producono l’effetto di
rinvigorire l’agitazione costituzionale
in tutto il resto d’Italia.
Sull’onda di queste tensioni
dell’opinione pubblica, sulle
manifestazioni di piazza, prima Carlo
Alberto di Savoia, poi Leopoldo II di
Toscana e Pio IX nell’intento di
quietare gli animi si decidono a
concedere la costituzione. Tranne quella
di Pio IX, che prima dell’insurrezione
di febbraio in Francia il Pontefice ha
emanato uno statuto, stilato da solo
ecclesiastici il quale stabilisce che su
il godimento dei diritti di libertà
siano esclusi i non cattolici.
Sono costituite tre camere: il Sacro
collegio cardinalizio un Senato
«inseparabile dal pontefice» affiancato
da un Alto Consiglio i cui membri sono
nominati a vita dal papa e un Consiglio
di deputati che sono eletti per censo.
Le costituzioni del 48 hanno
un’impostazione moderata ispirate al
modello francese del 1830.
Tra le costituzioni promulgate quella
più importante è lo Statuto promosso da
Carlo Alberto di Savoia dopo molte
perplessità e la certezza di avere una
forte presenza nei tre poteri dello
Stato, viene promulgato l’8 febbraio, e
diviene poi la legge fondamentale del
Regno d’Italia, che prevede una Camera
dei deputati, per cui la prassi della
loro elezione sono stabilite da una
legge, che prevede il diritto di voto
legato a un censo piuttosto cospicuo,
inoltre prevede anche un Senato di
nomina regia strettamente dipendenti del
governo dal sovrano. Le costituzioni che
sono promulgate nel 1848 riconoscono
tutte il cattolicesimo come religione di
Stato, in quanto la Roma papalina è un
baluardo per il potere dei sovrani.
Insurrezione di Venezia
Su l’esempio dei moti di Vienna, si
sollevano anche Venezia e Milano. Il 17
marzo una grande manifestazione
popolare, i dimostranti chiedono la
liberazione dei detenuti politici tra
cui si trova anche il capo dei
democratici Carlo Cattaneo, il
governatore austriaco è costretto a
rimetterli in libertà. Ma i fermenti non
si quietano questa volta si sollevano
gli operai dell’Arsenale militare, a cui
si uniscono ufficiali e marinai della
marina asburgica la quale la maggioranza
è composta da veneti, tanto da
costringere i reparti austriaci a
capitolare.
Il 23 marzo il governo provvisorio
presieduto da Daniele Manin proclama la
repubblica veneta. Dopo cinquant’anni di
sul campanile di San Marco di nuovo
sventola il vessillo con l’immagine del
leone.
Le cinque giornate di Milano
A Milano i il movimento insurrezionale
inizia il 18 marzo, i rivoltosi
assaltano il palazzo del governo la
rivolta si protrae per cinque giorni, i
moti rimangono nella memoria come «le
cinque giornate» milanesi. Si innalzano
le barricate, borghesi e popolani
combattono uniti contro un contingente
forte di quindicimila uomini posti al
comando del maresciallo Radetzky. I ceti
popolari si distinguono nel sostenere
violenti scontri e lasciano sul terreno
oltre trecento caduti. Viene creato un
consiglio di guerra con a capo Carlo
Cattaneo.
L’aristocrazia liberale in un primo
tempo si mostra favorevole a un
compromesso con il potere imperiale in
fine sposa la causa degli insorti, il 22
marzo viene costituito un governo
provvisorio. Lo stesso giorno il
maresciallo Radetzeky temendo un
intervento del Piemonte, ritira le sue
truppe nei confini tra Lombardia e
Veneto, nel quadrilatero che comprende
le fortezze de Verona, Legnano, Mantova
e Peschiera. Con la cacciata degli
austriaci da Venezia e Milano, il 23
marzo il Piemonte dichiara guerra
all’Austria.
In queste circostanze come è accaduto in
occasioni precedenti che l’esempio di un
sovrano di concedere la costituzione
finisce per influenzare le decisioni
degli altri. Allarmati dello sviluppo
delle agitazioni democratiche e
patriottiche destabilizzano i loro
troni, Ferdinando di Borbone, Leopoldo
II di Toscana e Pio IX, maturano la
decisione di unirsi alla guerra
antiaustriaca, inviano le proprie truppe
regolari che vi partecipano con
entusiasmo seguiti da una moltitudine di
volontari.
La guerra piemontese assume un aspetto
di una guerra d’indipendenza e federale
benedetta dal pontefice Pio IX,
combattuta da tutte le forze
patriottiche. Questo entusiasmo si
spegne in breve tempo per la scarsa
determinazione di Carlo Alberto, (non
a caso è soprannominato re tentenna)
nella direzione delle operazioni
militari, in quanto impegnato nel
progetto dell’annessione del Lombardo
Veneto, per il timore che divenga un
centro di agitazione repubblicana.
Questo comportamento è causa di malumori
tra i democratici e le perplessità degli
altri sovrani già poco convinti della
partecipazione al conflitto, in loro
matura il dubbio che nel caso di una
conclusione vittoriosa della guerra anti
austriaca, tra gli Stati partecipanti ne
avrebbe favorito soltanto il Piemonte
che beneficia dell’ equilibrio sorto dal
Congresso di Vienna del 1815. Con un
eventuale eliminazione dell’Austria gli
Stati più piccoli in Italia, sono più
deboli e diviene sempre più incerta la
loro sopravvivenza.
I dubbi assalgono anche Pio IX in quanto
si trova in guerra contro una potenza
cattolica tanto che il 29 aprile
annuncia il ritiro dal conflitto le
truppe pontificie, qualche giorno dopo
anche il granduca di Toscana segue il
suo esempio. A metà maggio Ferdinando di
Borbone che nel frattempo ha sciolto il
Parlamento appena eletto richiama le sue
truppe.
Nei corpi di spedizione molti sono
disobbedienti, e decidono continuare a
combattere contro l’Austria
distinguendosi in un famoso fatto d’arme
a Curtatone e Montanara. Alla guerra
partecipa anche Giuseppe Garibaldi
arrivato dal Sud America con i suoi
volontari, che messosi a disposizione
del governo provvisorio lombardo ha un
ruolo limitato per volere di Carlo
Alberto il quale non vuole lasciare
spazio di azione ai democratici. Dopo
qualche modesto successo le truppe
piemontesi, sono sopraffatte nella
battaglia di Custoza presso Verona e
sono costrette a ritirarsi oltre il
Ticino.
Il 9 agosto viene firmato l’armistizio
con gli austriaci. Dopo la sconfitta del
Piemonte a sostenere la lotta contro
l’Impero asburgico rimangono i
democratici italiani e ungheresi. Mentre
in Ungheria la guerra contro il potere
imperiale ha un carattere nazionale, in
Italia i patrioti sono impegnati in una
serie di battaglie locali come a Roma,
Venezia, in Toscana e Sicilia, purtroppo
la mancanza di un coordinamento nella
lotta su i vari fronti si rivela un
limite nel dare la giusta rilevanza
popolare che si rende necessaria a una
guerra di popolo, che deve unire alla
prospettiva della liberazione nazionale
quella dell’emancipazione politica e del
rinnovamento sociale. Ma la piccola e
media borghesia per la conquista di
questi principi ha bisogno del sostegno
dei ceti popolari, soltanto in minima
parte vi partecipa, la maggioranza della
popolazione italiana è indifferente
quando non è apparentemente ostile alle
loro battaglie.
Ciononostante nell’autunno del 1848 in
Italia gli eventi rivoltosi non sono
precipitati del tutto, la Sicilia è
sotto il controllo dei separatisti che
peraltro si sono dati un governo e una
costituzione democratica. Venezia dopo
la sconfitta di Custoza è sotto il
controllo dei rivoltosi e Manin ha di
nuovo proclamato la repubblica. In
Toscana il gran duca pressato
dall’azione insistente popolare è
costretto a dar vita a un ministero
democratico, guidato da Giuseppe
Montanelli e da Francesco Domenico
Guerrazzi. A Roma a novembre
viene ucciso in un attentato mentre esce
dal palazzo della Cancelleria il
ministro liberal democratico Pellegrino
Rossi, Pio IX abbandona Roma e si
rifugia a Gaeta sotto la protezione di
Ferdinando di Borbone.
L’azione dei democratici in Piemonte nel
marzo del 1849 non si spegne, Carlo
Alberto è pressato dalle loro richieste
e l’intransigenze degli austriaci che
pongono condizioni pesanti per la firma
della pace, il monarca decide di
riprendere le armi e il 20 marzo 1849
riprendono le ostilità. Carlo Alberto
però questa volta deve confrontarsi con
un esercito non più in ritirata, ma con
un armata organizzata e determinata ad
attaccare.
L’esercito guidato dal maresciallo
Radezky affronta l’esercito piemontese
il 22-23 marzo 1849 nei pressi di Novara
dove gli infligge una grave sconfitta.
La sera stessa del 23 marzo, Carlo
Alberto, per non compromettere le sorti
della dinastia, abdica in favore di suo
figlio Vittorio Emanuele II, che il
giorno successivo firma un armistizio
con gli austriaci. Nel frattempo a
Genova delle manifestazioni democratiche
sono represse nel sangue dall’esercito.
Sconfitto il Piemonte gli austriaci
procedono senza ostacoli alla
restaurazione dell’ordine nella
penisola.
Alla fine di marzo insorge Brescia, gli
scontri si protraggono per dieci giorni
in fine la rivolta è repressa nel
sangue. In aprile le truppe imperiali
austriache cingono d’assedio Venezia, la
città lagunare si batte eroicamente per
cinque giorni ma è costretta a
capitolare per fame. A maggio Ferdinando
di Borbone riconquista la Sicilia, gli
austriaci pongono fine alla esperienza
della Repubblica toscana, e occupano il
territorio delle missioni diplomatiche
pontificie di Bologna, Ferrara e le
Marche settentrionali.
Più duratura e celebre è la resistenza
della Repubblica Romana come esempio di
rivoluzione democratica, dove accorrono
molti esuli e cospiratori i cui nomi
costituiscono un patrimonio della
memoria storica del nostro Paese come:
Mazzini, Garibaldi, Mameli,
Manara e tanti altri. Il governo
repubblicano dal giorno del suo
insediamento si distingue, per il vigore
nell’impegno di costituire uno Stato
laico e di rinnovamento politico e
sociale, sono aboliti i tribunali
ecclesiastici, confisca dei beni del
clero. Viene approvato caso unico nelle
rivoluzioni dell’800 in Italia, un
programma agrario che prevede parte dei
fondi confiscati in affitto perpetuo per
le famiglie indigenti.
Pio IX dal suo esilio fa appello a tutte
le potenze cattoliche affinché le
vengono restituite le terre che ha
perduto. A tale appello risponde
l’Austria, Spagna e il Regno di Napoli,
anche la Francia fa suo l’appello del
Pio IX in quanto ormai è guidata da
forze clerico- conservatrici. Il
presidente Bonaparte per avere il
sostegno dei cattolici e per scongiurare
un intervento degli austriaci si
precipita a inviare nel Lazio un corpo
di spedizione francese composto da 35.00
uomini allo scopo di ottenere un ruolo
principale nella restaurazione
pontificia.
I primi di giugno le truppe francesi
attaccano la capitale. I repubblicani
hanno affidato i pieni poteri a un
triunvirato composto da: Giuseppe
Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini
che contrastano gli attaccanti per circa
un mese. La Repubblica romana pur se
priva di ogni possibilità militare, si
distingue per il suo modello di politica
innovativa e ideale. Il 4 luglio prima
di capitolare, l’Assemblea costituente
approva il testo della Costituzione, che
diviene un documento simbolo della
politica democratica alternativa agli
statuti di ispirazione moderata.
Quando le truppe francesi entrano a Roma
Garibaldi con pochi volontari cerca di
raggiungere Venezia. Con la fine
dell’esperienza della Repubblica romana,
a parte la strenua resistenza della
città lagunare soltanto in Ungheria
rimangono accesi i fuochi di rivolta,
dove i patrioti ungheresi sfruttano
l’impiego delle forze austriache in
Italia per riprendere il controllo del
paese e proclamano l’indipendenza.
Il governo austriaco per far fronte
alla situazione è costretto a chiedere
aiuto allo zar di Russia, che
preoccupato dai focolai rivoluzionari ai
confini del suo impero non esita a
intervenire militarmente. Lo Stato
magiaro attaccato da due eserciti
soccombe l’11 agosto 1849, due settimane
dopo anche Venezia è costretta a
capitolare. Si conclude così la stagione
dei moti rivoluzionari iniziata nel
1848.
Riferimenti bibliografici:
G.Sabbatucci,
V. Vidotto. Storia Contemporanea
L’Ottocento, Laterza, Bari 2020.
G. Monsagrati, Roma Senza il Papa,
Laterza, Bari 2020. |