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N. 27 - Marzo 2010 (LVIII)

12 FEBBRAIO 2010
Una data da scrivere nella neve
di Giulia Gabriele

 

Roma. Camera mia, ore 8.25

 

[Toc toc]

 

Papà: “Giulia, oggi…” e poi deve aver detto una cosa come “accompagnare” in qualche luogo di Roma lontano dal mio letto…

Io: (resuscitata dall’oltretomba del mio sonno e semi-cosciente): “Non posso, non sto ancora bene, mi spiace…”

Papà: “Va bene, allora ci vediamo più tardi”.

 

Dopo 5 minuti…

 

Io: (sbarrando gli occhi ormai vigile): “No! La sveglia! Ho dimenticato di metterla ieri sera! Il meteo diceva che oggi verso le 6 avrebbe nevicato…”

Mia sorella: (anche lei resuscitata dall’oltretomba del suo sonno): “Ma non vedi nulla alla finestra?”

Io: “Macché, figurati se c’è la…” [Apro. Breve silenzio] “NEVE! Nevica, nevica, nevica! Oh mamma, è bellissimo!”

 

Ecco, questo è stato il mio risveglio il 12 febbraio. E ovviamente non potevo esimermi dal telefonare per capire se avevo le allucinazioni o era tutto vero.

 

Io: “Pronto, Elisa! Ma la vedi? Quanto è bella… qua a poco a poco diventa tutto bianco”.

Elisa: (la mia migliore amica che vive più o meno sulla mia stessa strada, ma più indietro): “Sì! È uno spettacolo… speriamo che continui così! Mia sorella dice che da lei al Torrino ce n’è già un bel po’. Oh, se ce n’è abbastanza facciamo a palle di neve eh?!”

Io: “Come no, anche il pupazzo! Ci sentiamo tra poco che ora vado a fare qualche foto…”

 

Ovviamente ho fatto più di “qualche” foto. E oltre alla batteria della mia macchinetta ho scaricato anche il credito sul cellulare (o quasi) perché dovevo sincerarmi sulle condizioni della neve sia a 2 chilometri di distanza da casa che in centro, dove questo spettacolo bianco è arrivato con un po’ di ritardo. Infatti pare che la zona maggiormente e da subito colpita sia stata Roma sud: la mia, appunto.

 

Tutti coloro che nel 1986 avevano già la facoltà del ricordo, sicuramente conserveranno in memoria la nevicata di quell’anno, che, tra i più recenti, è quello che conta il maggior numero di centimetri di neve: ben ventitré. Da allora dire che non abbia mai nevicato, non sarebbe corretto.

 

Infatti, i fiocchi bianchi son caduti nel 1991, nel 1999, nel 2002 e nel 2005 solo che, dal 1986 - anno storico, se non altro, per il famigerato pupazzo di neve che i miei fratelli fecero in giardino - non c’è mai stata un’imbiancata generale e cospicua che invadesse tutta Roma. Per esempio, se nevicava a sud, non nevicava a nord e viceversa. Così come a est o a ovest di Roma. Ma soprattutto spesso la neve non faceva in tempo a solidificarsi, che già si era sciolta (se cadeva la notte, al mattino rimaneva poco più che brina). Quindi, se in teoria non siamo veramente rimasti a bocca asciutta da quell’86, in pratica sì.

 

Perciò, facendo un rapido calcolo, aspetto la neve da ancor prima di nascere, da quando ero solo un nome sul Grande libro e nemmeno un sogno nei pensieri di mia madre o un sorriso negli occhi di mio padre. È successo tutto 24 anni fa, e io di anni ne ho quasi 21. Quindi, per tutto questo tempo l’ho attesa, l’ho pregata di venire giù, l’ho scongiurata di farmi questo regalo magari (molto banalmente) il giorno di Natale. Ma lei niente, per quasi 21 anni della mia vita è stata inamovibile.

Così alla fine mi sono arresa: è meglio non aspettarsi niente per non essere delusi, anche con la neve. Dall’86 di eventi importanti, sia nazionali che internazionali, invece ne son venuti giù. Il muro di Berlino, Tangentopoli, l’attentato alle Torri gemelle (con guerra annessa) e l’Italia ha persino vinto i Mondiali di calcio nel 2006… ma di lei niente, nessuna traccia degna di ricordo.

 

E poi, al Tg della sera, la notizia lapidaria, fulminea, di quelle che così proprio non te l’aspetti: “è prevista neve a Roma dalle 6 di mattina di venerdì 12 febbraio”.

 

Io: (rivolgendomi alla tv): “Sì, va beh… sai quante volte l’avete detto e non è mai caduto un fiocco che fosse uno? E non ditemi che quella spruzzatina anemica del 2002 la consideravate una ‘nevicata’…” [Tra me e me - Però magari la sveglia la imposto ugualmente, fosse la volta buona!]

 

La sveglia, come ho già scritto, me l’ero dimenticata. Per fortuna quella mattina ci pensò mio padre a riportarmi nel mondo dei vivi – perché di solito io non è che mi addormento, svengo proprio – ma, cosa stupefacente, non accennò minimamente all’evento atmosferico che in quel momento si stava verificando fuori dalle nostre finestre, come se fosse una cosa normale… lui nel’86 c’era. Ma io no!

 

Quindi… telefonate, foto e poi felpa, pantaloni, calzettoni di lana, scarpe, cappotto, sciarpa, guanti (anzi, moffole, che sono tutto un altro mondo), cappello, macchina fotografica in una tasca del cappotto, cellulare (non si sa mai) nell’altra, giù per le scale e… N E V E! Anzi, bufera di neve. Perché, evidentemente offesa dalle insinuazioni di mio fratello (“Ma che è neve questa? Quella dell’86 sì che fu bella), ha iniziato a venir giù copiosa. E io felice, contenta e saltellante non ho fatto altro che scattare foto, girare filmini manco fossi Fellini, calpestarla, assaggiarla, toccarla, appallottolarla, tirarla e farmela arrivare su tutto il cappotto - che quando son tornata su a casa sembrava che mi fossi fatta il bagno in piscina… - in uno stato allegro andante, direi.

 

Proprio quando avevo perso la speranza, eccola la Dama Bianca. Quando appena un mese prima avevo perso ben altro che una speranza e proprio nel giorno del suo 95° compleanno… è arrivata. Bella, fresca e con quel retrogusto di regalo venuto da Lassù. In 21 anni non ho potuto (ma nemmeno voluto) corrompere la mia vista e la mia memoria con nessun altra nevicata. Era qui che la volevo, a casa mia e non m’importa che si parli di ciclicità, di condizioni climatiche, di numeri e dati… io so da dove è venuta quella neve. È venuta dal cielo.

 

Ed è così che non dimentico che non c’è niente di più bello che credere che qualcosa sia impossibile e poi un giorno svegliarsi, convinti che sia solo “un giorno”, per sentirsi arrivare sul viso un dolce fiocco bianco, candido di neve.

 

E giocare come una bambina e sognare e gridare e quasi piangere tra gioia e dolore per quel dono che in un attimo ha avvolto casa, Roma e i miei ricordi d’infanzia, del Natale appena passato e di quell’ultimo saluto delicato e fragile come la neve che ora mi si posa sui capelli, sulle mani, che mi asciuga le lacrime e si scioglie sulle labbra strette in un timido grazie

 



 

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